25 aprile 2009

L'albero di Pasqua

Oggi non abbiamo potuto evitare i talkoot, una sorta di celebrazione borghese del giardinaggio condominiale, un rito che si tiene due volte l'anno (in primavera e in autunno) in cui ognuno è sacerdote e il cui porre in essere si esplica attraverso il semplice dandosi da fare o dando l'impressione di darsi da fare (in autunno il lavoro non manca, perchè si raccolgono tutte le foglie cadute e si prepara la terra per la gelida morsa invernale; ma in primavera c'è ben poco da fare e tutti danno il meglio di sé nel trovarsi occupazioni credibili).
Ho colto l'occasione igienica per liberarmi di un cadavere che da Gennaio giaceva insepolto nel giardinetto sul retro: il cadavere del nostro albero di Natale!
A mia parziale discolpa, rammento alla giuria che fino a poche settimane fa la carcassa rinseccolita era occultata da abbondante neve.
E stamattina bel bello mi sono caricato sulle spalle la spoglia mortale dell'albero di Natale e l'ho portata al cassonetto dei rifiuti bio (o baio, come dicono i colti). Una vicina ramazzante spalanca gli occhi e mi fa: ma non mi dire che quello è l'albero di Natale! E io, con una faccia di bronzo che descrivervi non saprei: ma no, è l'albero di Pasqua. Noi in Italia -continuo imperterrito- facciamo per tradizione non solo l'albero a Natale, ma anche a Pasqua. E lei: ma lo decorate pure? E io: sicuro!

2 aprile 2009

Appunti da Vaasa

In questa trasferta di lavoro, divido uno degli appartamenti della compagnia con un collega indiano, anche lui in trasferta. Occupa una posizione di rilievo nel nostro ufficio a Mumbai e si vede: é istruito, ma non ha solo titoli universitari, é (abbastanza) pulito e ha anche quel po' di savoir faire dell'uomo di mondo.
Si vede pure che gioca fuori casa, tiene la cresta abbassata perché non conosce le regole del gioco in Europa, ma da certe sue sfumature un po' decisioniste intuisco che é abituato a ordinare e ad essere obbedito.
Non mi pare uno stronzo. La mattina mi prepara il té, ieri al supermercato ha preteso di portare il cestino della spesa (forse io sono troppo abituato allo stile finlandese: ognuno fa per sé e non provare ad avvicinanrti!).
Vaasa non offre granché per distrarsi dopo il lavoro e dividere l'appartamento é un bene, perché si possono fare le cose insieme. Per me non sarebbe un problema stare da solo: mi porterei in avanti sulla tabella di lettura, ma l'Indiano, visto che la tele ha solo 4 canali, non saprebbe che fare da solo (a parte rimbambirsi di internet).
Ieri sera ho fatto all'Indiano una carbonara spiccia e la sera prima lui mi ha preparato dei noodles indiani che abbiamo condito con il masala fatto dalla moglie (trattasi di salsa piccantissima preparata con una trentina di ingredienti, tutti piccantissimi).
Dopo cena l'Indiano si stura sempre un paio di bicchieri di rum indiano (42.8%) e ogni tanto scompare in balcone a fumare e io apro il libro e volo a Shandy Hall nel 1718 a conversare con i fratelli Shandy, il caporale Trim e il dottor Slop.
Stamattina l'Indiano é andato al lavoro con scarpe da ginnastica, pantaloni scuri, camicia a maniche corte con taschino (con penne inserite), cravatta e giacca non abbinata ai pantaloni.
Si consideri che in tutto l'ufficio (saremo un 200 persone) gli unici a portare la cravatta eravano l'Indiano e il sottoscritto.

A Vaasa la minoranza finlandese di lingua svedese é meno minoranza che altrove. In ufficio lo Svedese si sente quanto, se non piú, del Finlandese. In bocca ai Finlandesi lo Svedese ha un suono strano, pare una specie di cantilena con vocali chiuse tipo: brispo franfo ciriciciúúre.
Suona come una lingua dolce, ma secca, l'ideale per i film di Bergman.

Vaasa é composta da un reticolo di strade; l'asse principale va dal mare verso l'interno. Lungo questo asse ci sono due piazze l'una dopo l'altra, divise solo da un isolato o due. Una piazza é piú antica: é praticamente una solida chiesa a cortina con un vuoto intorno circondato da austeri edifici pubblici (in una delle piú tristi declinazioni dello stile Gründerzeit indigeno). Nel mondo occidentale moderno, Stato e Chiesa non sono piú tenuti in considerazione come autoritá morali, per cui questa piazza é passata di moda ed é del tutto negletta (sempre entro i limiti dello standard finlandese per "negletto"). Mentre l'altra piazza, sebbene non cosí blasonata dalle vetrate colorate della chiesa e dai bassorilievi degli edifici pubblici, sebbene sia un vuoto grigio senza particolare genio urbanistico (sarebbe da chiamare spiazzo e non piazza), é il cuore del centro di Vaasa, il buco nero che catalizza l'attenzione urbana, tutto vetrine di negozi e di locali.
É questo il cuore dell'Occidente, un vuoto grigio spazzato da venti gelidi la cui infertile oscuritá é violata dai bagliori colorati di vetrine.