Ieri, sera di Natale, passeggiata salubre a Trastevere.
Odore di pioggia e di fritti.
Visita a Santa Maria in Trastevere. Classica chiesa paleocristiana: nartece, tre navate, quella centrale con soffitto piatto, colonne e architravi sottratte a templi pagani, arco di trionfo, abside tondo e mosaicato.
Odore di pioggia e di fritti.
Visita a Santa Maria in Trastevere. Classica chiesa paleocristiana: nartece, tre navate, quella centrale con soffitto piatto, colonne e architravi sottratte a templi pagani, arco di trionfo, abside tondo e mosaicato.
Massiccia, ma discreta vigilanza da parte dei
Caramba.
Mi stranisce già il nartece (piccolo portico all'entrata), che ospita il presepe. Anzi, mi stranisce un po' il presepe. Un'atmosfera politically correct aleggia sulla sacra rappresentazione: una roulotte di zingari, un centro accoglienza chiamato DREAM con un imbandito desco multiculturale, un pittore su sedia a rotelle e altre saponette che lavano coscienze progressiste. Le epigrafi incassate nel muro arriccerebbero il naso, se l'avessero. Entrati in chiesa il dubbio si fa quasi certezza: un prete conduce una preghiera, ma non dall'altare, dai banchi, ed è vestito in borghese, non con i paramenti sacri. Come uno di noi. Molto democratico.
Meno male che Cristo è risorto, altrimenti si rivolterebbe nella tomba.
Usciamo dalla chiesa, passeggiamo per le vie di Trastevere. Colgo brani di conversazione. Un cameriere si ferma a chiacchierare con noi e maledice il governo per la crisi che gli ha dato.
Passiamo davanti ad una piccola tea-room, il Giardino dei ciliegi. ERA una piccola tea-room, qualche anno fa, prima che lasciassi Roma per il Granducato. Ora è un locale alla moda e richiama Romani bolliti e annoiati alla disperata ricerca di quattro pareti che riescano a dar loro un tono. Anche gli snob mi paiono fatti in serie. Come i coatti.
Rimane la toponomastica a ricordarmi di essere Romano: via della paglia, vicolo della frusta, via dei salumi, via della renella (per tacere toponimi di santi o dell'antichità).
Mi stranisce già il nartece (piccolo portico all'entrata), che ospita il presepe. Anzi, mi stranisce un po' il presepe. Un'atmosfera politically correct aleggia sulla sacra rappresentazione: una roulotte di zingari, un centro accoglienza chiamato DREAM con un imbandito desco multiculturale, un pittore su sedia a rotelle e altre saponette che lavano coscienze progressiste. Le epigrafi incassate nel muro arriccerebbero il naso, se l'avessero. Entrati in chiesa il dubbio si fa quasi certezza: un prete conduce una preghiera, ma non dall'altare, dai banchi, ed è vestito in borghese, non con i paramenti sacri. Come uno di noi. Molto democratico.
Meno male che Cristo è risorto, altrimenti si rivolterebbe nella tomba.
Usciamo dalla chiesa, passeggiamo per le vie di Trastevere. Colgo brani di conversazione. Un cameriere si ferma a chiacchierare con noi e maledice il governo per la crisi che gli ha dato.
Passiamo davanti ad una piccola tea-room, il Giardino dei ciliegi. ERA una piccola tea-room, qualche anno fa, prima che lasciassi Roma per il Granducato. Ora è un locale alla moda e richiama Romani bolliti e annoiati alla disperata ricerca di quattro pareti che riescano a dar loro un tono. Anche gli snob mi paiono fatti in serie. Come i coatti.
Rimane la toponomastica a ricordarmi di essere Romano: via della paglia, vicolo della frusta, via dei salumi, via della renella (per tacere toponimi di santi o dell'antichità).