19 ottobre 2009

"Berlin" di Eraldo Affinati (Rizzoli)

Erano anni che non mi capitava: pensavo di avere un fiuto infallibile con i libri, invece ho toppato alla grande con "Berlin" di Eraldo Affinati (Rizzoli).
L'ho comprato indotto dal mio cieco amore per questa città (e da una ben scritta recensione).
Ho trovato nel libro evidenza di due limiti insormontabili: 1) l'autore non è mai vissuto a Berlino; 2) l'autore (per sua ammissione) non parla Tedesco.
Tra il 2005 e il 2007 calavo a Berlino per un weekend ogni due o tre settimane: ci andavo così spesso che potevo a buon diritto affermare di avervi una vita sociale (e l’avevo). Di Berlino conoscevo un sacco di posti, di cose, di locali, ma non ci vivevo e non parlavo Tedesco: allora avrei condiviso e sottoscritto in pieno le sensazioni e le opinioni di Affinati. Poi dal 2008 ho cominciato a studiare Tedesco e ho passato in due occasioni alcune settimane di studio a Berlino: la mia visione e la mia conoscenza della città sono radicalmente cambiate, si sono approfondite (ero entrato in interazione con la città, vivevo i suoi ritmi, mi adeguavo alle sue abitudini, parlavo la sua lingua): ora le riflessioni di Affinati, per quanto erudite e pregnanti, mi sembrano le piccole impressioni di un turista saccente (che ha letto duemila libri, ma non capisce il cartellone pubblicitario che gli sta sotto il naso): sommando i luoghi che lui ha visto e di cui ha scritto si ottiene molto meno che Berlino.
Quello che mi é rimasto dalla lettura é il fastidio dell’onanistica soddisfazione dell’autore, che ha scritto un libro su una cittá di cui non ha capito nulla.
Nel libro inoltre ci sono veniali errori (ma non tanto veniali se si pensa che Affinati pubblica per Rizzoli e non su un blogghetto sconosciuto come questo): Affinati ad esempio afferma che la Neue National-Galerie é di vetro e cemento, mentre é di vetro e acciaio (questa é una svista grave perché l'edificio dichiara smaccatamente i materiali di cui é fatto); non mi vanno giú le citazioni dal Tedesco, perché Affinati mette sempre prima il Tedesco e poi la traduzione in Italiano e questa é disonestá bella e buona, perché se non si parla il Tedesco non si ha il diritto a citare direttamente dal Tedesco (e poi allegare la traduzione) a meno che non si voglia far fessi i lettori e sembrare quello che non si é (inoltre Affinati ha il cattivo gusto di non citare mai il traduttore; forse vuole che immaginiamo che le traduzioni siano sue?); Affinati “dimentica” di parlare della Philharmonie (come scrivere un libro su Milano e dimenticarsi di menzionare la Scala). Non continuo con la lista dei difetti, sennó famo notte.
Un’ultima cosa: Affinati si pavoneggia spesso dei suoi viaggi in giro per il mondo e poi insiste a parlare di Berlino secondo le categorie piú trite del turista. Una su tutte: il clima. Parla di stagni ghiacciati, di vento polare. Affinati é affetto da quella sindrome (tipica di moltissimi Italiani) per cui tutto quello che é a Nord delle Alpi (o a Nord della periferia meridionale di Milano) é Polo Nord: tra gli inverni di Monaco di Baviera e quelli di Rovaniemi non c’é differenza; é tutto un freddo lappone, un vento polare, un trionfo di stagni ghiacciati e di brume gelate. Non voglio dire che Berlino sia una cittá mediterranea, ma non é Helsinki, né San Pietroburgo.
E qui si svela la differenza tra chi ha viaggiato (anche tanto), ma é sempre vissuto nello stesso posto e chi invece vive all’estero. Differenza di cui Affinati é suo malgrado testimone. Chi é sempre vissuto nello stesso posto, per quanto abbia viaggiato, raramente sviluppa delle categorie di pensiero diverse da quelle comuni alla gente che vive nella sua stessa cittá (o Paese); per il semplice fatto che i viaggi sono di solito troppo brevi per poter comprendere un posto (figuriamoci poi se non se ne parla la lingua!) e per poter modificare la propria mentalitá: cioé continua a leggere l'estero come se si trovasse ancora a casa. Chi ci vive, all’estero, invece si trova continuamente nella condizione di verificare la relatività delle proprie convinzioni e di dover mettere sempre in discussione la saldezza delle proprie certezze (processi critici necessariamente impossibili in patria, dove si é tutti immersi nella tepida gelatina di una sicura Weltanschauung).
Ed ecco da dove vengono le brume ghiacciate e il vento polare: per aver visto un po’ di ghiaccio per strada e aver sentito una tramontana un po’ piú fredda.