30 settembre 2008

Weekend a Roma - 3 il party

Sabato sera cena da Michela, come da programma.
Tre le delizie: 1) gli antipasti fritti e la pizza; 2) la conversazione con gli amici; 3) l'ambiente, i camerieri, i clienti.
Devo spiegare cos'é un supplí? un fiore di zucca fritto? un'oliva ascolana? un filetto di baccalá? una bella pizza romana fina fina e scrocchiarella con funghi e salsicce sopra?
Mi son goduto la chiacchiera cor Pinta e donna (ho lasciato moglie e Polacchi al loro destino, fortunatamente er Cento-all-ora aveva portato un'amica che parla Inglese). A pensarci bene non mi ricordo di cosa abbia parlato cor Pinta: mi pare del suo lavoro, della magnata che si sono fatti a pranzo; mi sono accorto che cominciavo la metá della mie frasi con "a Berlino...". Quello che ci siamo detti (urlati, per essere onesti, perché da Michela c'é sempre un casino "clamoroso" -pleonasmo tipicamente pintiano) alla fine ha poca importanza, quel che conta era il piacere di stare insieme, che era il vero senso intimo delle nostre parole. Non sono mancate rievocazioni di personaggi universitari, di sbronze e di debolezze d'intestino.
Dopo cena e dopo la mezz'oretta abbondante che abbiamo impiegato per salutarci davanti la pizzeria, abbiamo lasciato i Polacchi in albergo, ho lasciato L. stanca a casa e sono andato al party di compleanno della mia amica G.
Arrivo verso l'una, a furori sbolliti, la gente comincia giá ad andarsene. Ho con me un litro di vodka finlandese e per la festeggiata una bottiglia di champagne e la guida automobilistica di Francia del '50 (comprata la mattina).
Al citofono il mio nome non dice nulla, ma per qualche oscura ragione mi aprono e mi fanno pure la grazia di suggermi il piano (come non lo sapessi!).
Entro e la prima impressione é quella di trovarmi alla matinée a casa Guermantes ne Il tempo ritrovato. All'arrivo in casa Guermantes il Narratore aveva l'impressione di trovarsi ad una festa in maschera, gli sembrava che i suoi amici si fossero travestiti da vecchi, lui mancava da anni per essere stato in una casa di cura.
Mi spiace scomodare Proust, ma ci sono molti punti di contatto tra la sua storia e la mia: anch'io vengo da alcuni anni di permanenza in quel sanatorio per malati di mente che é la Finlandia e anche a me la prima impressione é stata il constatare quanto fosse invecchiata gente che non vedevo da quattro o cinque anni. Alcune che avevo lasciato ragazze le ritrovavo donne giá semi-sfiorite.
Solo tre persone sono rimaste le stesse, anzi sono migliorate in bellezza ed eleganza (anche dai Guermantes c'é Odette ancora bella, giovane ed elegante). La padrona di casa G, la sua amica L e l'amico attore S.
S é alto, ha una camicia lillá e la barba da dio greco (sicuramente seduce moltitudini di semidei); L ha sempre quell'aria fresca e ingenua e quella lieve malinconia degli occhi e nella voce; G sprizza gaiezza da tutti i pori, ma con una classe, che di questi tempi volgari pochi sanno apprezzare, e con intelligente luciditá (nonostante i drinks).
Ho scambiato qualche parola con un giovane funzionario del ministero degli Esteri (l'ultima volta che l'ho visto era appena laureato e preparava angosciato concorsi). Mi ha ricordato d'istinto il Carlo Valletti protagonista del pasoliniano Petrolio. In realtá Pasolini descrive Carlo alto, magro, dedito a notti selvagge con venti borgatari alla volta e pieno di nostalgia per il cazzo di Carmelo, mentre il mio amico é basso e di quella rotonditá asessuata e pretesca da cattocomunista (ignoro se vagheggi cazzi). Eppure mi paiono molto simili (forse e soprattutto assomiglia al Carlo-donna o ancora di piú al Carlo-santo castrato al culmine del cursus honorum).
Altro incontro croccante é stato con il piú figo della festa (che aveva al seguito un amico NECESSARIAMENTE non figo, ma devoto).
Ora, io non sono mai stato un figo (in Italia dico, qui in Finlandia gli indigeni sono talmente non-fighi e ineleganti che per essere fighi basta sfoggiare una felpa Baci & Abbracci) anche perché l'esser fighi é una qualitá che non é intrinseca alla persona, ma dipende dal consenso altrui, per cui gran parte dell'esser fighi é generalmente quella di saper interpretare gli standard vigenti (le uniche categorie intellegibili alla "gente"), cioé in soldoni seguire le mode. E se permettete preferisco farmi apprezzare da pochi per quel che sono piuttosto che beneficiare del superficiale plauso generale per quanto sono bravo a seguire la moda.
Insomma, incontro il piú figo della festa con l'amico devoto al seguito (amico che spera nutrirsi delle briciole che cadono dal tavolo del piú figo) proprio vicino al reparto bevande; il vino era praticamente giá finito al mio arrivo e il mio rifornimento di vodka ha dato una notevole accelerata alla festa (di per sé molto sobria).
Nel frattempo qualcuno aveva riesumato il titolo di ingegnere-poeta affibbiatomi per versi scritti anni fa, titolo che serpeggiava nelle conversazioni.
Insomma, il piú figo della festa mentre beve la mia vodka finlandese si trova davanti l'ingegnere-poeta e mi chiede se la vodka l'abbia portata io.
Di solito quando due uomini s'incontrano per la prima volta combattono un veloce duello fatto di sguardi e parole per determinare il piú presto possibile di chi sia la supremazia (si compete maxime in successo professionale e personale). Anche l'incontro del piú figo della festa con l'ingegnere-poeta é stato caratterizzato da questo veloce duello.
Il piú figo della festa, che stupido non é, ha fatto due piú due: ingegnere-poeta (qualunque cosa possa significare), viene dalla Finlandia: questo va trattato con le molle. La sua circospezione ha sconfinato nel rispetto quando gli ho chiesto se per caso fossimo colleghi (mi pareva di aver capito cosí cogliendo brani di una conversazione), lui mi ha dovuto rispondere che é farmacista. Un farmacista del Tiburtino, per quanto ben vestito, per quanto figo, é e rimane un bottegaio (stavolta detto con malizia) e ben poco ha da competere con un ingegnere (poeta) che vive in Finlandia, lasciatemelo dire senza superbia e falsa modestia.
La nostra conversazione si é interrotta lí (continuarla sarebbe stato imbarazzante per il farmacista e poco interessante per me). Non é stata definita la supremazia di nessuno perché lui non avrebbe potuto in nessun caso imporla su me e a me non me ne frega una mazza di imporla su nessuno: sono stati tacitamente concordati non belligeranza e rispetto delle reciproche zone d'influenza; a lungo andare si sarebbe di sicuro scatenato un conflitto, ma certo non durante il breve tempo di una festa (a meno che si fosse in competizione per qualcosa o qualcuna, cosa da escludere per quanto mi riguarda).
C'era qualcosa che non mi convinceva nel farmacista. Sui trentacinque-quaranta ben portati, camicia bianca, elegante giacca blu con pochette (io semplici jeans e camicia nera), mi pareva anche troppo figo per la festa. Sfoggiava una sicurezza un po' irritante (una specie di calma salomonica e sfrontata che gli derivava dal considerarsi figo), ma non osava troppo perché sapeva che piú della giacca elegante (e di quell'aria impettita) poco altro aveva a disposizione. C'era qualcosa che non mi convinceva, dicevo, e alla fine l'ho scoperta! Poco prima di andarmene, il farmacista s'é seduto e ha accavallato la gamba, mostrando uno scarponcino scamosciato verdognolo con un tacco cosí. Primo: sei nano e pure complessato se ti metti un tacco tanto (non c'é niente di male nell'esser bassi, ma ce n'é forse nell'esserne complessati); secondo: la scarpa non c'entra una mazza con la giacca e allora decade l'ipotesi d'eleganza. Avevo capito: il farmacista, il piú figo della festa, non era altro che un ossequioso replicante di modelli televisivi, con la sua giacca blu da mezzobusto da tiggí, non era altro che un farmacista nano travestito da presentatore televisivo. Una gran bolla di sapone. Uno che pensava di "valorizzarsi" mettendosi una giacchetta alla Ricucci, ma alla fin fine stai a venne l'aspirine alle vecchie der Tibburtino.
Dopo le due ci siamo ritrovati seduti in circolo con un nanerottolo ventruto e pelato che ci parlava di riflessologia con lentezza socratica. Il nanerottolo appariva convinto, ci credeva, ma in realtá era solo il buffone del farmacista (nella cui farmacia esercita), che aveva piacere ad esibirlo ed assumeva un'aria tra il manageriale e il paterno. Gli invitati fingevano attenzione con molto garbo.
A me dopo trenta secondi di apologia della riflessologia mi sono scoppiate le palle e sono uscito in terrazzo a godermi la vista sulla basilica di san Giovanni in Laterano. Ci ho trovato un tizio e una Francese ubriaca.
La Francese la conoscevo giá, ha velleitá d'attrice (ero stato in contatto con lei per un mio piccolo monologo, che, essendo in bocca ad una donna belga, era perfetto per la sua erre moscia), ma lei non mi ha riconosciuto subito, marcia com'era (con tre complimenti se la sarebbe rimorchiata pure l'amico devoto del farmacista). Quando mi ha riconosciuto, nota la fede al dito e mi fa, trionfalmente: ti sei sposato! Eh,sí, dico io. E tua moglie? É a casa, era stanca. E lei: sei proprio Italiano! (volendo significare con ció la peggior specie di vigliacco mentitore traditore figlio di ecc.) Io lo prendo come un complimento (meglio passare per maudit che per santo) e ripeto: eh, sí.
Conobbi la Francese a casa di G qualche anno fa. Me la ricordo fasciata in un abito di velluto nero, di una magrezza molto intellettuale e nervosa, con la sigaretta in una mano e un bicchiere di vino bianco nell'altra: mi fece una certa impressione, tant'é vero che la cercai per il monologo (poi non andato in porto). Ora non mi sembrava altro che una segretaria sola, stressata e bulimica. Senza una caccola di fascino, parlava sguaiatamente a voce alta. Non mi ha lasciato altra scelta che tornarmene a casa.

29 settembre 2008

Weekend a Roma - 2 il magazzino dei libri

Sabato mattina ho aperto gli occhi alle cinque e mezza e ho capito subito che non avrebbe avuto molto senso provare a riaddormentarsi, per cui ho preso un numero della rivista Imperi (un tentativo di produrre una pubblicazione di geopolitica da destra, ma che ancora non puó concorrere con Limes) per potermi dedicare almeno ad un'oretta di lettura mattutina, ma poco dopo mio padre s'é alzato ed abbiamo parlato per un paio d'ore di lavoro (si é parlato maxime di Finlandia, Arabia, Russia, Polonia e India). Non ho perso l'occasione per farmi una lauta colazione con certi biscottini di paese che non hanno l'eguale.
Dopo le otto, la casa ha cominciato a prendere vita, la televisione accesa, i fornelli cominciano a lavorare (ne ho approfittatto per un'altrettanto lauta seconda colazione con gli stessi biscottini), viavai nei bagni, le finestre aperte, i rumori e gli odori della strada fluiscono pian piano all'interno, si programma la giornata, si esplora il frigo, ecc.
Fisso una visita al magazzino dei libri.
Esco verso le nove e mezza e raggiungo a piedi il vicino magazzino. Una strada che percorrevo abitualmente quando vivevo a Roma. Mi guidano soprattutto gli odori, tintoria, giornalaio, cassonetti, deiezioni animali, ma anche asfalto, lamiera di macchina sotto il sole, tubo di scappamento, pizza a taglio, gommista, scuola, mercato e viale con platani. Veloce visita alla chiesa parrocchiale, con vecchie velate intente nell'adorazione perenne o in pettegolezzi d'oratorio. Mi godo la luce, che mi é famigliare, l'ombra sui muri di tufo, le facce pregne e un filino amare di chi aspetta l'autobus, scooter che sfrecciano con indifferente prepotenza, rumori di tazzine di caffé dalla penombra dei bar, il raschio dialettale di vecchi fumatori che passano la giornata a parlare di calcio, che ti fanno la radiografia con un'occhiata.
Arrivo al magazzino dei libri e mi tuffo anima e corpo tra gli scatoloni, le casse e la polvere. In una stanzetta trovo subito materiale croccante (Epitteto tradotto in Latino dal Poliziano e in Italiano da Leopardi, in una vecchia edizione tascabile). L'inizio é ottimo: alcuni volumi di una storia dell'Unione sovietica del '76 riedita dall'Unitá nel '90 (mi interessa la lettura della storia dell'URSS fatta dai comunisti quando ancora il comunismo era scientifico -negli anni Settanta- e riproposta ne' '90 -quando la Storia lo stava definitivamente sputtanando). Una chicca meravigliosa: un saggio sull'infanzia negli USA e nell'URSS (sempre degli anni '70) che comincia con la domanda sulla terza di copertina: perché i bambini americani manifestano fin da giovanissimi la tendenza a copiare e a maltrattare l'altrui proprietá? (sottintendendo che quelli sovietici fossero modelli di perfezione) e, per chi non avesse chiara la posizione dell'autore, la sezione dedicata all'America comincia con il capitolo sul fallimento del sistema educativo (sempre sottintendendo il successo di quello sovietico).

DIVAGAZIONE
Via internet ho ordinato un opuscolo pubblicato in Russia in Italiano nel '73, s'intitola URSS 1973. Nella prefazione si dice che il 1973 é un anno importantissimo per l'Unione sovietica perché é quello di mezzo del piano quinquennale 1971-75. Giá nei primi due anni del piano quinquennale tutti gli obiettivi sono stati raggiunti e superati e nel 1973 l'Unione sovietica ha conseguti successi in campo economico, culturale, artistico ecc. (nelle pagine successiva si spiega come sia cresciuta la produzione, di quanto siano aumentati i salari, ecc.).
La veritá é che negli anni '70 i paesi socialisti contrassero ingenti mutui con l'Occidente senza dare praticamente alcuna garanzia di poterli estinguere, pretendendo essenzialmente l'Occidente in cambio maggior rispetto dei dei diritti umani (vilipesi nei paesi socialisti). I paesi socialisti usarono questi fondi per aumentare il benessere materiale del popolo ottenendo un certo ritorno di consenso (piú che altro fu un baratto, un certo relativo benessere per la sospensione temporanea del dissenso che stava diventando incontrollabile giá dalla fine degli anni '60).
FINE DIVAGAZIONE

In un angolo trovo una vecchia edizione tascabile del Gregorovius (ma mancano i primi volumi, quelli che m'interessano di piú) e la scarto. Poi scopro un filone di vecchi bignami degli anni '30: ne scelgo uno che s'intitola Il verbo greco (una raccolta di tutte le forme verbali irregolari, praticamente una lista di aoristi). Se trovassi una vecchia e buona grammatica greca e una latina le prenderei al volo.
Passo nello stanzone principale. Nel filone tedesco (dove peró si sono impunemente infiltrati autori svedesi) scopro un dizionario etimologico tedesco degli anni '30; fecondo anche il filone francese, una guida automobilistica della Francia del '50 (di cui faró buon uso) e una bella bibbia del 1905. Nel filone religioso scovo una raccolta di pensieri di sant'Alfonso Maria de' Liguori del 1888, santo cui mia madre é particolarmente affezionata.
La ricerca non si ferma, prendo alcuni tascabili BUR degli anni '50, un'edizione pregiata di Trilussa (non il mio favorito, gli preferisco di gran lunga il Belli), una biografia di Albert Schweitzer (amato da mio fratello) e una guida dell'Italia centrale del TCI del '37 (l'anno scorso ne trovai una della Lombardia, che donai al mio croccante amico milanese). C'é tutto un filone di pubblicazioni del TCI e a Natale forse prenderó qualcosa (ma fan piú gola ad un urbanista).
Chiudo con una selezione petrarchesca di Natalino Sapegno, con il De Sanctis onnipresente nelle note.
Dopo quasi tre ore una telefonata mi richiama bruscamente alla realtá e torno a casa.

Weekend a Roma - 1 il volo

Recensire questo w/e passato a Roma mi pare impresa difficile e spero non si limiti ad un elenco di cose fatte o, nella migliore delle ipotesi, ad una lista di emozini provate.
L'inizio é stato in salita: i nostri compagni di viaggio, i nostri due amici polacchi (moglie e marito), rivelavano giá da due settimane prima della partenza ansie da prestazione turistica e tipiche nevrosi da mitili di scoglio, intendendo con ció le nevrosi di chi non muove mai il culo da casetta e ignora le piú semplici costumanze da tenersi in itinere. NB: il mio non é snobismo (anche perché io come viaggiatore non sono un granché, avendo costantemente sotto il naso -e nel sangue- l'esempio di chi passa fuori casa 9 o 10 mesi l'anno nei posti piú strampalati).
Le mie lievi preoccupazioni sono bruscamente lievitate ad agghiacciante terrore quando il Polacco mi ha tenuto per piú di mezz'ora al telefono, pochi giorni prima della partenza, con l'intento di prenotare online posti vicini. Fortunatamente il mio DNA italiano mi ha permesso di glissare con garbo, ma un dio burlone volle che nonostante tutto capitassimo tutti e quattro quasi gli uno accanto agli altri.
Man mano che il decollo si avvicinava il furor sacro del Polacco cresceva (la Polacca é mooolto, ma mooolto piú calma). Entrati in aereo, ero convinto che il Polacco cadesse in crisi epilettiche e cominciasse a vaticinare minchiate. Ma mi sbagliavo, é andata peggio: rimossa infatti con sorprendente abilitá la passeggera che mi divideva da lui, si é installato accanto a me e per tutto il viaggio mi ha tempestato di domande insulse che di solito cominciavano cosí: come si dice in Italiano...?
Il Polacco, a parte la gran rottura di palle (quando uno mostra interesse verso il mio Paese sono ben lieto di dargli tutte le spiegazioni che posso dargli, ma era palese che non si sarebbe ricordato delle cose che gli dicevo o che non le avrebbe mai capite), soprattutto mi ha privato delle tre ore e passa di volo che avrei potuto sfruttare altrimenti in feconda lettura (la qual cosa é massimamente imperdonabile e che gli ha fatto perdere, seduta stante ed irrecuperabilmente, tutti i suoi diritti a Roma).
A proposito del Polacco. É un fotografo pubblicitario di primo livello a Hki (come professionista non gli si puó dire niente), ma essendo un sedentario (nell'accezione peggiore del termine) e scarso di cultura e istruzione (a parte l'informatica), non puó vantare grandi capacitá di comprensione delle differenze culturali, limitandosi a concepire il diverso attraverso gli stereotipi piú banali. Il problema é che lui non é in grado di andare oltre questi stereotipi, non avendo alcun background culturale, e quindi ogni mio tentativo di spiegargli qualcosa di Roma (dell'Italia) che non fosse immediatamente riconducibile a stereotipo noto, andava infallibilmente a vuoto (nella migliore delle ipotesi lui decostruiva la mia argomentazione per riplasmarla vuotata di senso nella rozza semplicitá delle sue matrici stereotipiche).

26 settembre 2008

Appuntamenti irrinunciabili e divagazione sull'identitá

Oggi si parte per Roma. Breve w/e a casa.
Come sempre pretenderó l'impossibile dalla mia agenda. No, questa volta sará diverso: l'imperativo sará take it easy!
Il fatto é che, oltre a doverose e improcrastinabili esigenze di shopping, certi appuntamenti sono comunque irrinunnciabili:
1) la visita al magazzino dei libri: due ore (come minimo) a rovistare dentro cassette di libri per estrarne (tra quintali di polvere e monnezza) pregiate chicche come certe edizioni economiche operaie di scrittori sovietici sconosciuti (dei tempi in cui il comunismo era venduto per scientifico), relitti dell'epoca der Puzzone, prime edizioni di Papini, di Huizinga, vocabolari Greci e Latini d'inizio Novecento (che mi mancavano a Espoo, avendo lasciato i miei a Roma), un dizionario tedesco del '43, persino un'edizione secentesca (rovinatissima) delle lettere a Lucilio di Cicerone;
2) la cena il Sabato sera da Michela (piú che una pizzeria, una seconda casa), in cui una ripassata agli antipasti fritti esalta il gusto del cazzeggio con gli amici. Amo particoralmente questa pizzeria perché si trova nel quartiere popolare di Ostiense, ma in un angolo che ancora resiste alle catene di montaggio della fighetteria capitolina, ai serragli dei finti ribelli snob e dei viziati studentelli fankazzisti; ci vanno a mangiare i lavoratori, veri eredi dei borgatari pasoliniani. Tifano Lazio, magari si dicono pure "fasci" (ma in un senso tutto loro, in un misto di luoghi comuni e bisogni reali, in cui "fascismo" é giustizia sociale, sicurezza e benessere; "fascismo" opposto a "comunismo" inteso come partito della pagnotta o vaniloquio chic) oppure tifano Roma e si dichiarano "comunisti" (si sentono democratici, i soli che facciano "qualcosa per il sociale" e si contrappongono dialetticamente ai razzisti). Mi piacciono perche sono lavoratori, non imbelli capelloni che vanno avanti a chiacchiere e ignorano il sacrificio. Quando sedevo da Michela mi piaceva tendere l'orecchio ai tavoli vicini e ascoltare le conversazioni (la loro lingua é piú pura quando parlano tra di loro) e soprattutto mi piacevano i nostri cazzegghi, che potevano essere anche molto intelligenti (perché competevamo in arguzie e per allusioni intendevamo cose diversissime da quelle di cui stavamo parlando).
Ora tutto questo é morto, almeno per me. Ogni cena da Michela é una visita al cimitero, perché io non sono piú quello che mangiava abitualmente lí. Negli ultimi quattro anni ho frequentato piú i ristoranti etnici di Berlino che Michela, il mio cuore ha palpitato piú passeggiando lungo le strade di Schöneberg che per la via Ostiense; ho nuotato piú nei fiumi siberiani e nei laghi finlandesi che nel Tirreno; ho raggiunto nuove familiaritá con nuovi amici, nessuno di questi da Roma, e ho esercitato nuovi argomenti di conversazione, nuovi modi di fare ironia. Le cose viste da 3000 km di distanza non sono piú le stesse e non posso prendermi per il culo a far finta che non cambino.
Tutto morto. La cena da Michela é una visita al cimitero. O, se volete, un'analisi stratigrafica di un perduto me stesso.
Tutto questo mi porta spesso a chiedermi qual é il vero me stesso? Il me stesso hic et nunc é un segmento troppo breve per potercisi raccapezzare.
Per un breve tratto di curva, derivando si ottiene la tangente, come dire, si quaglia, si ha un'idea di dove si é, ma quando il tratto é lungo e la curva irregolare che si fa? Si spezza la curva in segmenti derivabili. E qual é il me stesso allora? Questa serie di tangenti incongrue e sghembe?
Se non avessi lasciato Roma sarei rimasto lo stesso, la tangente sarebbe rimasta quella, saprei forse chi sono. Ma se non avessi lasciato Roma avrei consciuto una sola retta, non potrei nemmeno immaginare che ne esistano altre! Non avrei mai potuto scoprire altri me stessi, cioé condizioni in cui io sia sempre io eppure diverso da quello di prima.
Messa cosí dovrei persino far fatica a riconoscermi. Eppure stranamente ogni mattina quando mi alzo so chi sono.
Oltre ad aver coscienza di certe mie caratteristiche basali di persona ho chiara la mia identitá.
L'identitá é come una bussola, come un navigatore GPS per essere piú moderni. Le mie caratteristiche basali non le considero indisponibili (come alcune parti del patrimonio statale), ma la mia identitá sí.
Per identitá intendo l'appartenenza ad un valore inalienabile, ad un'idea irrinunciabile. La mia idea irrinunciabile é Roma, la mia identitá é civem romanum esse.
Ho scritto civis romanus, non Romano. Qualsiasi idiota nato a Roma é Romano, nascere a Roma é un accidente; essere civis romanus é una scelta, un'elezione. Per me essere civis romanus é avere il proprio fondamento in quella che Cicerone chiamava "humanitas" e che per lui e i suoi contemporanei era la "cultura", l'esercizio cui ogni uomo (civis, cioé evoluto) dovesse dedicarsi e che per noi diventa l'ereditá romana e greca.
Ovunque mi trovi, chiunque io sia (per me é la stessa cosa), so di poter beneficiare di questa ricca ereditá, che non é autoritá insindacabile quanto piuttosto ricordo un un nonno buono, la cui preziosa memoria informa gentilmente la mia vita senza pretendere di governarla.

22 settembre 2008

Passeggiate autunnali

Una volta montata la cucina nuova (montata da un operaio con baffo e sorriso sveglio cui sono molto piaciuti i cioccolatini russi che ingenuamente abbiamo lasciato indifesi nel salone), pensavamo che il piú fosse fatto. Ci sbagliavamo. Primo: bisognava mettere al loro novello posto tutte le cose che avevamo abitato i prischi scaffali e che erano giaciute neglette in scatoloni; secondo: bisognava ripulire casa dalla zozzeria accumulata in questi giorni di grandi manovre.
Operazioni che abbiamo portato a termine soprattutto nel w/e, durante il quale abbiamo anche trovato il tempo per due lunghe passeggiate, per goderci l'ultimo tepido sole dell'anno: l'autunno spoglio e oscuro arriverá presto.
Piú che il trascolorare al giallo e al rosso delle foglie, piú che l'abbassarsi inesorabile delle temperature, piú che l'accorciarsi altrettanto inesorabile delle giornate, é la migrazione delle papere a darci la certezza di non poter piú sperare: quando i topi abbandonano la nave... qualche dubbio ti deve venire.
La consapevolezza che questi sono gli ultimi tepori solari dá una magia tutta sua al passeggiare, come l'ultimo bacio prima che un treno ti porti via nella nebbia tra sbuffi di vapore.
Sopra le nostre teste, le papere volano in stormi immensi a forma di V e non posso fare a meno di pensare ad agguerrite formazioni di Stuka.
Noi che ci muoviamo a piedi non diamo peró l'impressione marziale di guerrieri della Vermacht  e guadagniamo pacificamente il lago Lippa (Lippajärvi in Finlandese) attraversando una striscia di prato tra giardini curatissimi (come solo dei nazisti maniaci dell'ordine potrebbero avere) e un lembo di bosco. Lungo la nostra linguetta di prato serpeggia un sentierino che arriva ad una microscopica spiaggietta su cui sono tirate in secca tra la verzura barchette colorate e ad un piccolo molo con due panchine.
Il lago é a forma di fagiolo e sue le acque sono di una limpidezza rara. Il lago vicino casa, il lago Lungo (Pitkäjärvi) ha acque torbide (e una forma tipo alabarda spaziale, ma molto tozza).
Flora é ancora verde. Solo le betulle ingialliscono (presto avranno quell'aspetto zen come nelle vignette di Charles Schulz). "Ingialliscono" non é la parola adatta, il loro ingiallire é in realtá una via di mezzo tra lo sfiorire e il rinsecchirsi. La betulla é uno di quegli alberi che da solo mette tristezza e acquista forza solo nel gruppo (un po' come gli individui mediocri). Anche il pado (Prunus Padus) ingiallisce. E poi c'é l'acero. Non so se in Italia ce ne siano (é un albero nordico), qui é molto comune (come in Canada e in Russia). Dire che le sue foglie diventino gialle o arancioni é poco, é scontato, sarebbe come dire che la Nona Sinfonia é bella. Il giallo e soprattutto l'arancione hanno un'intensitá impressionante, una pienezza divina. Si deve parlare di qualitá ontologica: non stiamo piú parlando del colore della foglia, la foglia non é che il povero supporto di un'epifania cromatica.
Sto studiando come un matto Tedesco.

16 settembre 2008

Weekend a Berlino

Venerdí
Elaborazione del ritorno in Europa; spesucce; cena indiana con amici russi e qualche drink all'Alien a Hackescher Markt.
Sabato
La mattina presto L. dorme, vado a leggere nel salotto. Mi alzo e do un'occhiata ai libri che la ex padrona di casa di L. tiene nella sua biblioteca. I titoli mi affascinano: Quando le estati erano calde, I cimiteri sotto la luna ecc.: penso a romanzi classici, con trame, personaggi e descrizioni comme il faut, ambientati nella provincia francese e dominati da un personaggio carismatico; penso borgesianamente a un salone buio dove leggo questi romanzi presso un piccolo lume dalla luce gialla durante una notte fuori dal tempo e dallo spazio.
Numerosi i romanzi rosa: sulle copertine sono rappresentati uomini giovani e muscolosi che tengono tra le braccia donne in amore e in svolazzi di nastrini e chiome.
Colazione in un piccolo caffé; due Russi, probabilmente ebrei emigrati dall'Unione sovietica negli anni '80, parlano d'antiquariato.
Shopping a Ku'damm; laddove la mischia é piú furiosa, brillano taglienti sotto la luce del neon le carte di credito.
Pranzo giapponese.
Gelato (italiano) a merenda con amici tedeschi e poi alla stazione centrale a prendere i genitori di L. che tornano dalle cure termali a Karlovy Vary.
Alla stazione mi tornano in mente le vacanze InterRail, soprattutto le notti in treno: il mantra ipnotico e rassicurante della locomozione e l'oscuritá del vagone o dello scompartimento quali condizioni ideali per concentrarsi nella lettura, nella scrittura o nella rievocazione delle avventure dei giorni precendenti; il fascino visionario della notte fonda, di paesaggi indistinti persi nel buio o illuminati violentemente; l'avvantaggiarsi dell'altrui sonno per contemplare indisturbati un bel volto di fanciulla o una faccia interessante; il giorno dopo trovarsi in una cittá sconosciuta mentre attorno l'indaffarata incoscienza di chi vive una giornata come un'altra; il freschetto della mattina mescolato alla stanchezza allucinata della notte quasi insonne.
Cena tedesca.
Domenica
Colazione nello stesso piccolo caffé del Sabato; ritroviamo i due Russi. Andando al piccolo caffé passiamo per Ludwigkirchplatz. Nel giardinetto davanti alla chiesa intitolata a san Luigi IX, in una posizione un po' defilata, c'é una statua dedicata al santo re. Statua finto-medievale, immagino, perché piú medievale del vero medioevo (manderebbe in brodo di giuggiole un Huysmans): San Luigi é in pompa magna con cotta di maglia, grembiule crociato, libro, spadone (se non erro), barbetta, chioma regale e trionfale sorriso e al suo braccio é allacciata la moglie in beata adorazione del marito, pare una fan che abbia appena sposato la sua amata rockstar ed é sul punto di liquefarsi d'incredula felicitá; San Luigi é massiccio e rigido, la moglie invece flessuosa e dinamica.
C'é stato un tempo in cui in Europa si veneravano santi guerrieri. Come sono lontani quei tempi!
Istintivo il dubbio che da allora abbiamo perduto "pezzi di civiltá", per dirla con Huizinga, che si rifá alla definizione di civiltá data da Dante nel Convivio.
Gruppetti di passeri sciamano qua e lá; riconosco alcuni uccelli descritti con amorevole zelo da Bosch nel trittico del Regno millenario. Se non avessi letto Fraenger non saprei riconoscere quegli uccelli.
Lunga passeggiata fino a Kreuzberg. Giornata fredda, ventosa, grigia (comunque freddo, vento e grigio piú miti che in Finlandia); giá i tigli cominciano a esporre foglie rosse o gialle.
Dürüm a Yorkstraße.
Ancora scarpinata fino a Potsdamerplatz. Gelato. Di Sabato soprattutto adolescenti in tiro; di Domenica famiglie.
Bambini e ancora bambini. Di tutte le etá. Dal passeggino alla preadolescenza. E madri ovunque intente ad aiutare i piú piccoli a mangiare il gelato, a spalmare su braccine cicciotte tatuaggi temporanei, a sgridare i piú monelli, a dare qualche cucchiaiata di rapina alla poltiglia semiliquida che non hanno il tempo di godersi.
Isolate in mezzo al mare magnum di bambini vedo due donne, madre e figlia. La figlia a metá dei trenta e la madre dopo i sessanta. Entrambe magre.
Magre rispetto alle madri cui la cura della prole ostacola la cura della propria persona, magre rispetto a queste madri un po' tonde, un po' spettinate e un po' stanche.
Magre, vestite con cura e con cura pettinate. E aride come la morte. Sterili.
Non magre, ma rinsecchite. Sfinite d'egoismo.
Mangiano il gelato in silenzio come malati il brodino in ospedale, ingenuamente in fuga dai loro immacolati appartamentini di 50 mq in perenne penombra. Mentre intorno bambini con sbavature di cioccolato sulle guance e patacche di fragola sulle magliette vivono il gelato incoscientemente, come esperienza di gusto totale, infinita.
Nella figlia una venatura di rimpianto balugina liquida negli occhi, unico spiraglio di libertá dal dominio assoluto della madre, dal rigido cipiglio di vecchia preside.
Passeggiata fino a Hackescher Markt. Dalle bancarelle presso la Humboldt Universität compro tre libri, un atlante del 1928 in Tedesco, un'asciutta guida alla Pskov antica in Russo degli anni '50 e un'introvabile Cultura borghese di massa in Russo (Mosca, 1985), poderosa critica socialista alla cultura borghese occidentale (e poderosa propaganda).
Cena al ristorante italiano Il Sorriso.
Lunedí
Elaborazione del ritorno in Finlandia; zuppa di salmone consolatoria al Sea Horse.

12 settembre 2008

Il ritorno dell'ingegnere ingegnere

Tempo fa ho scritto un paio di post (qui e qui) su un neolaureato che lavora da noi. Il neolaureato é il tipico esempio di ingegnere ingegnere (cioé l'ingegnere totalmente immerso nel suo mondo, da evitare il piú possibile, come la peste in fase terminale di aids e un principio di lebbra).
Ultimamente il neolaureato mi ha intrattenuto sfoggiando la sua conoscenza in materia di fonti energetiche, servendosi di parole come "peak oil", "plateau" eccetera; mi aveva quasi convinto quando mi ha detto che "siamo dei professionisti e quindi DOBBIAMO avere un'opinione al riguardo",  ma poi, quando gli ho chiesto il prezzo di un barile di petrolio, lui mi ha detto 140 dollari e in quei giorni era giá sceso intorno ai 120.
Stamattina, mentre mi preparavo il mio cappuccio al curry, lo sentivo blaterare di seriosi argomenti d'ingegneria con i colleghi anziani (i quali trarranno sicuramente gran beneficio dalla sua profonda esperienza di neolaureato).
Quel suo prendersi maledettamente sul serio (che in soldoni significa andarsene in giro con uno sguardo fisso e perso nel vuoto e vestito sciattamente), quella sua pedante cocciutaggine nello sviscerare qualsiasi aspetto della meccanica del continuo (che certo scatena la libidine femminile), unita al darsi arie di decennale esperienza sul campo, sono il mio esatto opposto.
Insomma, io mi stavo preparando il mio cappuccio al curry e lui entra in cucina a prendere un po' di quella ciofega che esce dalle macchine del caffé finniche; peró, mancando oggi la segretaria, il caffé non era stato fatto. E lui se n'esce con uno strano ibrido anglo-finlandese: Perkele, kahvi's ended! (Diavolo, il caffé é finito!). Ma l'ha detto con un tono agghiacciante, come se il mondo ora non potesse piú essere salvato, come se a Superman la mattina al bar rifilassero un cornetto alla kriptonite, come se la diga che aveva progettato e la cui costruzione seguito per anni, cedesse all'inaugurazione e la valanga d'acqua investisse la classica scolaresca sfigata in gita.
Ma non ti rendi conto quanto sei ridicolo? Con la tua aria da bufalo immusonito a meditare le armonie celesti, con la tua aria idiota da dio in Terra e soprattutto con il tenente Colombo come personal shopper!

8 settembre 2008

Un duro weekend

Questa settimana ci monteranno la nuova cucina.
Il weekend é stato speso nello svuotare tutti i pensili (che é stata anche impagabile occasione per buttare un sacco di roba scaduta) e nel rimuovere la vecchia carta da parati dalla cucina.
La vecchia cucina era quella originale degli anni '80 (di quando é stata costruita la casa; a queste latitudini gli anni '80 sono l'epoca di Cola di Rienzo e gli anni '50 quella di Cheope e Micerino); funzionava ancora bene, per caritá (a parte la lavastoviglie), ma andava sempre piú assomigliando alla cucina di nonna Papera.
Ho progettato la cucina secondo il compromesso di assecondare le nostre esigenze e quelle di un futuro acquirente finnico: l'ibrido mi pare piacevole, per lo meno sulla carta; vedremo come sará dal vivo!
Sabato abbiamo spezzato il duro lavoro festeggiando il compleanno della ns amica polacca.
Abbiamo cominciato al solito Sea Horse (la zuppa di salmone non ci ha deluso nemmeno questa volta): eravamo una decina di persone (nazionalitá presenti: 3 Polacchi, 2 Italiani, 2 Finlandesi, 1 Russa, 1 Colombiana e 1 Olandese).
Italiani: io era una ragazza della provincia di Forlí; ha il ragazzo indigeno (ma indigeno evoluto, parla Italiano e gesticola come un Italiano! NB evoluto non perché parla Italiano, ma perché imbevuto di standard sociali e culturali europei; abbiamo piacevolmente conversato di Joyce e Proust (siamo partiti da Svevo), che lei (laureata in Lingue) ha letto in lingua originale.
Dopo cena siamo andati al solito Kaisla e mi sono concentrato sui ns amici polacchi (coppia che andrá a Roma nobiscum a fine mese).
Il Polacco afferma di non amare il pesce. Sfido, dico io, non sei mai andato piú a Sud di Breslavia: tu il vero pesce non l'hai mai mangiato!
Quando saremo a Roma, ti porto a mangiare il VERO pesce a Ostia in un certo ristorantino. Il Polacco mi esterna un cauto ottimismo. Ma siccome io sono bastardo dentro, non ho perso l'occasione di terrorizzare lui e la moglie (la festeggiata), descrivendo con inquietanti accenti una semplice insalata di mare come un orribile miscuglio di tentacoli di polipo in spasmi e calamari tremolanti, il piacere di un'ostrica come un supplizio nazista (per l'ostrica); sono rimasti interdetti persino dalla mia ambigua descrizione di un semplicissimo fiore di zucca fritto. Adesso non sanno piú se essere contenti di andare a Roma o no. Aggiungiamoci il fatto che li abbiamo sistemati in un convento di suore vicino casa, che nella loro mente é qualcosa di simile al monastero de Il nome della rosa (ma che in realtá é una classica palazzina romana anni '50, di un nitore ospedaliero).
A metá serata, l'Olandese si presenta con un vassoio con due bottiglie e vari bicchieri. Le due bottiglie sono di una birra di albicocca prodotta in Belgio. L'olandese é appassionato di birre, ne parlerebbe per ore; peccato che abbia la stessa vis icastica di una vecchietta che recita il rosario!
Questa birra odora di merda, ma il gusto é un po' meglio, ci dice l'Olandese (traduzione letterale). La odoro: al mio olfatto arrivano fragranze di vomito, con nuances acide. Il sapore é terribile. Lui é l'unico che l'ha bevuta. Ogni volta che lui si allontanava, io  gli riempivo il bicchiere con gli avanzi degli altri bicchieri. Lui il suo bicchiere lo vuotava sempre: o era sbronzo marcio e avrebbe bevuto qualsiasi cosa o beveva per non darci la soddisfazione di ammettere di averci offerto una ciofega.

4 settembre 2008

Pioggia e chiacchiere

Non mi ricordo da quanti giorni piova.
Ogni tanto c'é una pausa, di solito quando sono in ufficio o casa. Poi riprende con intensitá maggiore, soprattutto sugli arredi in legno del giardino (che si sono raddoppiati di volume per l'acqua presa).
Stamattina andando al lavoro pioveva a catinelle (a secchiate) e a vento (e non é nemmeno la condizione peggiore: il peggio é la nevicata a vento, meglio se di notte, alla fine dell'inverno e con croste di ghiaccio sparse irregolarmente sull'asfalto; roba che ti devi portare appresso due paia di mutande di ricambio) e non ho potuto resistere alla tentazione di guidare ascoltando la Musica sull'acqua di Händel (avevo il cd in macchina).
Ieri proficua conversazione in ufficio con il Canadese.
Figura infelice, come tutti gli stranieri che sono venuti in Finlandia per la bionda, ha fatto la solita trafila matrimonio-prole-divorzio e ora é condannato a vivere in Finlandia per star vicino a detta prole. Ne ho incontrati a pacchi come lui: aspettano che i figli arrivino a 18 anni per poter andarsene. Anche er Canada é della combriccola, ma piú lucidamente ammette che quando i figli saranno maggiorenni lui avrá 50 anni e "a 50 anni dove cazzo vado?" mi ha chiesto (traduzione libera, ma fedele). Secondo lui il 90% degli stranieri in Finlandia si trova nella sua stessa situazione (non posseggo statistiche ufficiali, ma la percentuale mi pare verosimile), intentendo per stranieri gli Occidentali (gli altri, marocchi, bangladesh e somalia, sono esclusi dalle statistiche in quanto rifugiati, scroccatori di assegni di mantenimento o clandestini).
Poi er Canada é passato a raccontarmi delle sue passate esperienze lavorative: in Finlandia ha lavorato in una grossa multinazionale, ma nella filiale finnica c'erano 200 Finni, lui e un Olandese. Diceva che i Finni lo trattavano come una merda e non gli davano fiducia sul lavoro perché straniero (gli posso credere), mentre la nostra compagnia, dal punto di vista sociale, é molto meglio (ed é vero, essendo i Finni maggioranza relativa e quindi costretti ad evolversi dalla loro provinciale ferinitá per simpatetico beneficio dovuto alla vicinanza con stranieri, anche se del secondo o terzo mondo).
La ciliegina sulla torta: secondo er Canada il lavoro é organizzato male e c'é una sacco di gente che non fa una mazza, tipo er Ciáina, che non sa che ruolo abbia nella compagnia (me lo chiedo anch'io) e che si fa vivo ad ogni morte di papa quando ha un problema (anche da me qualche volta si é affacciato con domande al limite dell'implausibile).
Er Ciáina da questo punto di vista mi ricorda un tale che lavorava al dipartimento di architettura dell'universitá di Oulu (dove facevo la tesi) con la misteriosa mansione di "architetto di laboratorio". Tutti si chiedevano in che consistessero i suoi compiti e io lo vedevo sempre affacciato alla balconata interna con quell'aria scazzata da impiegato pubblico (figura professionale che ho avuto modo di conoscere per benino da vicino quando ero attaché al ministero della difesa ai tempi della naja). Una volta sono entrato nel suo ufficio e ho notato che vi era appesa una sola immagine: un collage sbiadito di un progetto di villetta unifamiliare con foto (mi ricordo di due donne sorridenti e con acconciature anni '80 sedute nel salotto), sicuramente l'unico suo progetto in tutta la sua vita