30 marzo 2007

Una coppi di Romani - 2

Allora ero in procinto di lasciare il mio appartamento in affitto a Kallio e lui insisteva a visitare l’appartamento (si preoccupava che il balcone desse a Sud per poterci installare la parabola). E io, ingenuamente, non capivo perché volessero trasferirsi da un appartamento centralissimo (tra Kamppi e Punavuori) con tre stanze in uno a Kallio con due.
L’appartamento se lo stava cercando per viverci da solo.
Venne fuori che il tentativo di sfondare nel mercato finlandese non andava come previsto.
Man mano misi insieme i pezzi del puzzle, soprattutto grazie alle parole di lui (che si sfogava con me mentre facevamo la fila al bancone).
Lui e la moglie stavano insieme da circa quindici anni, e da un anno si erano sposati (poco prima di trasferirsi a Helsinki). Ma da quando si erano trasferiti a Helsinki lui voleva "cambiare" (lei usó questo termine per dire che lui stava cercando un’altra donna o, piú probabilmente, molte avventure). Me lo disse con calma, come se il marito avesse deciso di cambiare macchina (lei parlava sempre con calma; piú che calma era un misto di lucida rassegnazione e predacitá sospesa).
Non osai giudicarli.
Lui mi parve vincitore, tutto proiettato nel futuro (meditava di tornarsene a Roma se presto le cose non fossero andate meglio; "si vive anche di professione", mi ripeteva; cercava chiaramente avventure con le biondine); lei, sebbene piú maligna, piú raffinata, mi parve sconfitta, tutta rattrappita nel passato (mi raccontava di rosticcerie e pasticcerie romane; erano quelli gli unici rimpianti che le uscissero di bocca, ma era chiaro che ne aveva di ben altri) o nascosta nelle vite altrui (vantava l’amicizia di una medaglia olimpica di non so quale specialitá).
Recentemente ho saputo che sono tornati a Roma.

Una coppia di Romani - 1

Lo scorso autunno, le mie amiche perugine (una delle quali allora lavorava al ristorante *** a Kamppi), mi invitarono a festeggiare il compleanno di un giovane cuoco del ristorante *** presso la discoteca Lux. Quella sera conobbi vari personaggi (di cui già scrissi in un post precedente), tra cui una coppia di Romani.
Abituato al cattivo gusto finlandese, mi colpì immediatamente il look della coppia.
Lui vestiva in maniera impeccabile un completo blu (mi piacquero molto anche le scarpe), era perfetto per uno di quei locali semi-esclusivi per vippetti, professionisti inquieti e arricchiti vari che animano le notti del centro di Roma; al collo portava una bellissima pietra.
Lei, elegantissima, lussureggiante, aveva lineamenti spagnoli e vestiva un abito nero con scialle nero, a mostrare quello che andava mostrato e coprire quello che andava coperto.
Entrambi liberi professionisti, lui aveva uno studio avviatissimo all'Aventino e lei lavorava in uno studio al centro.
La sera bazzicavano i locali a piazza del Popolo e andavano a ballare in una discoteca che sta tra largo Argentina e il Pantheon ("ci vanno quelli del Grande Fratello", mi dissero).
Lui mi raccontò che si erano trasferiti a Helsinki per provare a sfondare nel mercato finlandese che, a suo dire, non era ancora saturo come quello italiano.
Lei stava un po’ in disparte, mentre lui era molto loquace (mi colpí la sua risata, piú infantile che sguaiata, ripetuta ossessivamente).
Lui non entró in competizione con me per dimostrare di essere quello che aveva piú successo (cosa che spesso accade tra i maschi), essendo io un po’ piú giovane di lui (gli avrei dato 38-40 anni) e soprattutto perché quella sera non ero particolarmente in tiro: si sciolse, abbassó le difese e comincio a mostrarmi un po’ di se stesso.
Incontrai la coppia altre due volte (una volta al Baker’s e un’ultima di nuovo al Dux): lui loquace e spaccone (come tutti i Romani), lei defilata.

27 marzo 2007

Paesaggio brandeburghese

25/03/07. Sul treno da Wittenberge a Berlino.
Campi piatti, desolati, acquitrinosi. Macchie di abeti e pini. Superbi filari di querce nere e spoglie si stagliano contro l’orizzonte. Le querce dispiegano i rami con progressione frattale e coscienza spaziale metafisica; alcune sono gravate da nidi spuntati qua e là come metastasi.

Weekend al Neuer Hennings Hof - 2

Alle 15 massaggio ayurveda ai piedi (quando L. mi ha detto che ci aspetta un massaggio ayurveda io ho capito all’inizio juvemerda, poi ho realizzato ayurveda); alle 15:30 è il mio turno. La massaggiatrice ha un’aria timida e forme abbondanti (la massaggiatrice della mattina era un mascolino fascio di nervi). Mi fa stendere sul lettino, mette la solita musichetta new age e inizia a sfregarmi con un due guanti da doccia. Poi mi fa girare sulla schiena, mi stende sul corpo una coperta e mi depone sugli occhi una fascia aromatizzata. L’essenza non è molto esotica: mi ricorda l’odore dello spray anti-zanzare (ma lei aveva il sorriso di una che mi stesse offrendo aloe e terebinto).
La massaggiatrice mi cosparge il piede destro di olio e inizia a massaggiare: il massaggio è notevole e si sviluppa su delle linee ideali che vanno dal tallone alle dita dei piedi (e viceversa); si serve anche di pietre tiepide e fredde. Il massaggio alle dita sembra quasi un pizzicotto. Dopo il piede destro passa al piede sinistro. Pizzicandomi l’alluce sinistro, l’alluce scrocchia (lo fa sempre, ci sono abituato), ma lei si spaventa e mi chiede KAPUTT? Drogato dallo spray anti-zanzare riesco a trattenere le risate e la rassicuro. Finito il massaggio al piede sinistro, mi lascia ancora un po’ al calduccio sotto la coperta a godermi benefiche vibrazioni che dai piedi arrivano fino alla testa.
Poi si china su di me, mi toglie la fascia dagli occhi e mi dice che il massaggio è finito con un accenno di fiatella (che spezza l’incanto e mi fa tornare bruscamente alla realtà). Inizia a dire parole in Russo (forse crede che sia Russo dal cognome di L.): konec (fine), spasibo (grazie), požalujsta (prego). Io le dico che sono Italiano (lei non parla Inglese e io non parlo Tedesco, per cui mi esprimo in Italiano) e lei fa: Italienisch? Mamma mia!
Esco. Rilassato e divertito.
Torniamo nel nostro appartamentino. E’ molto confortevole e ben attrezzato per dei soggiorni superiori al weekend.
Ceniamo presto (non abbiamo pranzato). Il buffet offre: hirschgulasch (gulasch di renna, molto russo; ci torna in mente quel resort nella tajga di Taštagol), petti di pollo con cocco e albicocca (combinazione sonora e gastronomica notevole), seelachs (letteralmente salmone di lago; il traduttore online lo traduce: merluzzo nero) con spinaci; dolci. L. beve il solito (modestissimo) rosso locale e io la solita (gustosa) Hefeweizen scura.
Torniamo in camera (evitando il dancing offerto dall’albergo: in cui, immagino, una gloria localissima con baffi a punta e cocomero sotto la camicia intona di triplo mento nostalgici e struggenti canti della DDR o storpia con la complicità del pianolaro con cravatta da piazzista Funiculì funiculà o Kalinka).
La Domenica mattina é soleggiata e tiepida e a colazione non mi trattengo (esagero soprattutto con quelle mousse deliziose). Secondo un’usanza nordica, viene offerto del prosecco (forse come rimedio per il postumo d’ordinanza; il prosecco ci è stato offerto a colazione anche sulla Viking Line).
Alle 11:40 spaccate il pulmino dell’albergo ci viene a prendere al nostro appartamento e ci riporta alla stazione di Perleberg.

Weekend al Neuer Hennings Hof - 1

(note vergate senza alcun intento letterario)
Nelle loro memorie di viaggio Montaigne e Goethe spendono ottime parole per gli alberghi tedeschi (e pessime per quelli italiani). Con queste due autorevoli referenze ero ansioso di sperimentare di persona e, per quel poco che conta, confermo in tutto e per tutto il giudizio di Montaigne e Goethe.
Il weekend al Neuer Hennings Hof è il regalo di L. per il mio compleanno.
Arriviamo alla stazione di Perlberg dopo il tramonto. Fa più freddo che a Helsinki, piove. Un pulmino dell’albergo ci viene a prendere e ci porta direttamente al nostro appartamentino sul laghetto (memorabile il check-in sul pulmino: L. dice il suo cognome e l’autista le dà le chiavi dell’appartamentino e i due tesserini per l’accesso alle facilities). Giusto il tempo di farmi la barba e andiamo a cena.
Buffet: schweinefleisch (maiale arrosto), maiale stufato, auflauf (stufato di verdure), draniki (frittelle di farina di patate), pollo al coriandolo; aringhe preparate in vari modi; ovunque salsine deliziose; buona scelta di dolci. L. beve un (modestissimo) rosè locale e io una (semplice) Hefewizen chiara. Siamo soddisfattissimi della cena e andiamo a dormire.
Sabato mattina fa ancora freschetto, ma splende il sole. Facciamo colazione abbastanza presto; per qualche oscura ragione riesco a mantenermi abbastanza leggero: le possibilità di strafogarsi al buffet sono numerose: ampia scelta di affettati e formaggi (ci è piaciuto un caprino a pasta molle insaporito all'erba cipollina), di insalata e frutta e dolci (deliziose mousse di fragole, frutti di bosco o cappuccino con una base di pan di spagna).
Alle 11 L. ha il massaggio alla schiena. Mezz’ora dopo tocca a me: la massaggiatrice, nonostante il sorriso d’ufficio, si rivela una salutista integralista un filino lesbo: mi massaggia con vigore, cerco di non opporre resistenza, ma mi batte come un tappeto per le pulizie pasquali (l’effetto è positivo, dal collo al sedere mi sento tonico ed elastico).
La prossima sessione di massaggi è alle 15 e decidiamo di farci qualche sauna e una nuotata in piscina. Prendiamo gli accappatoi e ci cambiamo negli spogliatoi (distinti per donne e per uomini). Dallo spogliatoio si entra in piscina e dalla piscina si entra nella zona sauna. Appena entro nella zona sauna, mi passa davanti una vecchia: si toglie l’accappatoio e si getta nuda nel piccolo frigidarium e poi, sempre nuda, si fa una doccia tiepida. Ingenuamente non ci faccio caso, ma appena ci apprestiamo ad entrare in sauna, l’inserviente ci fa notare che in sauna, per motivi igienici, non si può portare il costume, cioè si deve stare nudi (ma allora perchè lo spogliatoio per donne e per uomini?).
La cosa mi mette in forte imbarazzo (nemmeno in Finlandia sarebbe immaginabile una storia del genere), ma ci adeguiamo: in sauna ci sono solo vecchie e vecchi nudi che non ci prestano la minima attenzione, ma non posso fare a meno di coprirmi e di chiedere a L. di coprirsi. 
Facciamo un po’ di saune e di docce fredde e piano piano il mio imbarazzo si stempera, perchè mi rendo che nessuno indugi nel guardarci (da uomo del Sud mi preoccupo soprattutto che nessun uomo guardi L.!). 
Le saune sono molto confortevoli, nonostante la forzata nudità. Molto tedescamente un cartello vieta di sudare sul legno. Le luci sono bassissime. Ci sono tre saune: la finn-sauna (classica), la kristall-sauna (un fascio di luce alogena illumina un grappolo di cristalli posti sopra il kiuas, cioè il braciere con le pietre; e luci cangianti balenano per la stanzetta: una cazzata new age) e la ambient-sauna (molto umida). 
Facciamo (in accappatoio) una pausa al bar, ci rimettiamo il costume e passiamo in piscina. Le saune stancano e non nuotiamo molto. Aspettiamo l’ora del massaggio sulle sdraio, guardando pigramente dei bambini che giocano in piscina.

23.03.2007

Berlino. Stazione di Jungfernheide. Ore 17:00 circa.

Attendo il regionale per Wittenberge. Incontrerò L. direttamente sul treno. Da Wittenberge prenderemo la coincidenza per Perleberg. E alla stazione di Perleberg un pulmino del Neuer Hennings Hof ci verrà a prendere.
Temperatura perfetta: freddo, ma solo quel tanto che basta per farti venir voglia di metter su un cappottino (senza l’angoscia finlandese di doverti difendere dal gelo e dal vento). Piacevole disperdere nella brezza leggera un po’ di tepore in eccesso.
Aria secca, ma non troppo. Una pigra pioggerellina la umidifica, la fa un po’ frizzante.
Fragranze di forno tedesco suggeriscono tepori domestici.
Il cielo basso e grigio non è minaccioso, imperla di languori madreperlacei le cose.
Persone si alternano nell’attesa dell’S-bahn in silenzio. Un merci mi urla alle spalle sferragliando.
I vagoni dell’S-bahn sono colorati di un rosso opulento e di un giallo stantio. Mi ricordano i tendaggi di un vecchio salotto.

5 marzo 2007

D&G

Non sono d'accordo con quanti si scandalizzano per le immagini dell'ultima campagna pubblicitaria di Dolce&Gabbana.
Lo scandalizzarsi mi pare cosa di cattivo gusto: fa molto imam incazzato, fa molto perbenista di sinistra.
Lo scandalizzarsi é conseguenza naturale del sentirsi giusti (chi si scandalizza è chi si sente in diritto di scagliare la prima pietra). Trovo incosciente ed ingenuo il sentirsi giusti: incosciente perché non é sicuramente di stimolo alla ricerca del proprio miglioramento, ingenuo perché ti porta ad illuderti di saper distinguere il bene dal male. Personalmente ritengo molto difficile credere alla buona fede di quanti si sentono giusti (e non penso solo a bigotti e baciapile, ma anche a imam incazzati e barbuti, a perbenisti di sinistra ben vestiti, a no global canna e kefia).

Se non sono d’accordo con quelli che si sono scandalizzati, figuriamoci se la possa pensare come quelli che richiedono le scuse dei due stilisti, come la CGIL (o con quelli che esigono che i manifesti siano disaffissi). In primo luogo, mi sfugge totalmente in nome di chi la CGIL richieda le scuse ufficiali di D&G; forse sarebbe meglio che tornassero ad occuparsi dei lavoratori. In secondo luogo, richiedere le scuse non é solo ingannarsi di saper distinguere il bene dal male, ma é addirittura arrogarsi il diritto di amministrare giustizia (richiedere le scuse e soprattutto richiedere di disaffiggere le immagini é una vera e propria sentenza).

Per quel che puó significare, io esprimo la mia solidarietá ai due stilisti.

3 marzo 2007

Serata al Lux

Ieri sono andato a ballare al Lux, nuovissimo club nel nuovissimo frankenstein polivante che è il centro di Kamppi (che ospita la stazione degli autobus regionali, un centro commerciale, un multisala, ristoranti, locali e trendissimi appartamenti).
Un’amica di Perugia ha lasciato il ristorante *** a Kamppi, dove lavorava come cameriera, e gli ex colleghi le hanno organizzato una festa d’addio al Lux, o, come mi verrebbe da dire, al Dux, sebbene non vapori atmosfere littorie tutte linoleum e piallacci in noce, ma vanti un lusso austero, fondato su superficie e volumi squadrati neri, che ben poco hanno di nostalgico (di nostalgico c’è il raffinato ristorante Lasi Palatsi, in bilico tra il costruttivismo mel’nikoviano e il décor stalinista; squisita la zuppa di salmone).

Prima di salire al Lux, dove ci aspetta una saletta riservata rifornita di spumante catalano e vodka svedese, ci fermiamo a bere un biccherino di grappa d’amarone al *** (il cui proprietario è un ricchissimo ebreo finlandese).

Della serata voglio schizzare solo la descrizione di tre personaggi.
Il primo è il capo-cuoco e manager del ***. Romano di Ostia, porta il nome di un re persiano. Maneggione di bassa lega e di mezz'età, ventruto, concepisce i rapporti umani solo secondo le categorie del sesso e del denaro; ha il pregio (forse derivato dall’alcool) di lasciarsi uscire di bocca tutta la pochezza che i suoi due neuroni intirizziti riescono a produrre. A fine serata l'ho visto accapigliarsi per questioni d'onore (forse qualcuno aveva osato dargli uno spintone).
Il secondo personaggio è un cuoco del ***. Italiano di non so dove, porta il nome di un paladino ariostesco. Mi si presenta come cuoco e come ginecologo, sfoderandomi il sorriso di chi la sa lunga, ma molto lunga. Coetaneo del capo-cuoco, lampadatissimo, veste una camicia bianca sotto un completo gessato; la camicia è ovviamente sbottonata fino all’inizio della panza (cavezza d’oro rosso e pelame bianco ne vengono fuori). Presumo che abbia solo un neurone, perchè pare declinare il mondo solo secondo la categoria del sesso (del “basta che respira”, per essere esatti), cosa che lo mette un gradino sotto al capo-cuoco nella ripidissima scala dell’evoluzione umana.
Il terzo personaggio è un cameriere del ***. Bolognese, porta un nome dal sapore virgiliano. Ventenne all’inizio degli anni ‘70, lascia Bologna per Londra e poi per Amsterdam, dove conosce la Finlandese che diverrà la madre di sua figlia e (ora) ex moglie. Rimane ad Amsterdam sei anni e poi si trasferisce a Helsinki, dove vive da più di tre lustri.
Se non fosse per la figlia dodicenne, se ne andrebbe da Helsinki. Aspetta che raggiunga la maggiore età. Mi parla di un amico dei bei tempi di Londra, che si è trasferito in California, mentre lui sceglieva Amsterdam; mi dice che è ancora in contatto con questo amico che gli rinnova continuamente l’invito ad andare a lavorare da lui. Si vede che è insoddisfatto. Che è solo.
Il Bolognese è un bell'uomo: alto, ben proporzionato, fisico asciuttissimo, veste con disinvoltura abiti giovanili. Di animo molto più sensibile degli altri due, mi parla con una cantilena di una tristezza portoghese.
Provo immensa pietà per quest’uomo.
Anche per il capo-cuoco e il cuoco provo pietà, superiore persino al fastidio di dover sopportare la loro volgarità. Mi communove il loro squallore senza possibilità di redenzione, accecato dall'avanzare inesorabile degli anni. Mi paiono dei pulcinella condannati al supplizio di Tantalo, condannati a viziare con il loro laidume anche la nobiltà della caduta. Non riesco a riderne. Non riesco a ridere dei loro fauneschi e frustrati approcci verso fresche biondine, non riesco a ridere dei loro ripieghi strategici verso stagionate biondone.