Qualche mese fa mi sono letteralmente divorato un'antologia di racconti russi.
Si tratta di 14 racconti di Fantascienza russa, a cura di Jacques Bergier, edizione Feltrinelli del '61, una raccolta di testi scritti tra gli anni ’30 e la fine degli anni ’50.
Non sono un patito della fantascienza; ho letto un' del cyberpunk di William Gibson e qualche classico di Arthur Clarke. Peró, quando ho scovato questo titolo nel magazzino segreto, non ci ho pensato due volte a prenderlo. E non é stata una cattiva idea.
Pensavo che fosse uno di quei libri che si comprano come atto d'amore (per la Russia, nel mio caso). L'ho iniziato a leggere in uno svogliato weekend privo di stimoli e poi mi ha preso tanto che a malincuore me ne andavo a dormire o lavorare.
In realtá alcuni racconti erano piuttosto mediocri (o per lo meno non risvegliavano il mio interesse), tanto che li ho abbandonati dopo qualche pagina.
Ma non mi ha catturato tanto la bellezza dei racconti, quanto il milieu di cui erano impastati. Innanzitutto gli eroi sono (quasi) sempre russi (e noi siamo abituati a protagonisti invariabilmente americani), poi é data per scontata la supremazia sovietica in ogni campo (noi siamo abituati a vedere gli Americani come gli egemoni strafichi, ipertecnologici e superorganizzati). Inoltre i personaggi sono quasi sempre scienziati incorruttibili e animati solo dalla sete di conoscienza, marcantoni tagliati con l'accetta e pronti sempre a sacrificio di sè (che fa molto russo). In molti racconti la Terra é governata da un organismo democratico, schiavitú e imperialismo sono solo ricordi; il credo ufficiale é la Scienza, che ormai ha praticamente svelato ogni mistero. Nei racconti in cui si parla di Unione sovietica, non mancano riferimenti alla maggiore ricchezza e prosperitá di questa sull’America (ricchezza e prosperitá che assicurano agli scienziati maggiori fondi).
A proposito, nei due racconti ambientati in America il capitalismo é descritto come un sistema che genera povertá e disuguaglianza (ovviamente l'Unione sovietica é rappresentata come un modello di democrazia e libertá). Allora si era in piena guerra fredda e la letteratura era terreno di battaglia: ovvio che pure la fantascienza dovesse essere allineata.
I traduttori sembrano un po' aricchiappati. A parte che i neri vengono chiamati negri, in un racconto mi sono imbattuto in un personaggio che cosí inveiva contro la tecnologia: le macchine... le possino!
Il saggetto introduttivo di Jacques Bergier non riserva meno sorprese: si parla di Bulgakov come di un minore, come di un caratterista (da ricordare giusto per la novella Uova fatali; Il maestro e Margherita saró pubblicato solo nel ’67) e gli si contrappone l'accademico Kataev (la cui fama non varca ora le antologie scolastiche russe). In una cosa peró Bergier non sbaglia, nel rilevare il valore del romanzo breve di Ivan Efremov, Navi di stelle, il testo piú lungo della raccolta, che da solo varrebbe tutto il libro, a parte un paio di racconti dei fratelli Strugackie (gli autori di Stalker, per intenderci, da cui Tarkovskij ha tratto il suo film).
Si tratta di 14 racconti di Fantascienza russa, a cura di Jacques Bergier, edizione Feltrinelli del '61, una raccolta di testi scritti tra gli anni ’30 e la fine degli anni ’50.
Non sono un patito della fantascienza; ho letto un' del cyberpunk di William Gibson e qualche classico di Arthur Clarke. Peró, quando ho scovato questo titolo nel magazzino segreto, non ci ho pensato due volte a prenderlo. E non é stata una cattiva idea.
Pensavo che fosse uno di quei libri che si comprano come atto d'amore (per la Russia, nel mio caso). L'ho iniziato a leggere in uno svogliato weekend privo di stimoli e poi mi ha preso tanto che a malincuore me ne andavo a dormire o lavorare.
In realtá alcuni racconti erano piuttosto mediocri (o per lo meno non risvegliavano il mio interesse), tanto che li ho abbandonati dopo qualche pagina.
Ma non mi ha catturato tanto la bellezza dei racconti, quanto il milieu di cui erano impastati. Innanzitutto gli eroi sono (quasi) sempre russi (e noi siamo abituati a protagonisti invariabilmente americani), poi é data per scontata la supremazia sovietica in ogni campo (noi siamo abituati a vedere gli Americani come gli egemoni strafichi, ipertecnologici e superorganizzati). Inoltre i personaggi sono quasi sempre scienziati incorruttibili e animati solo dalla sete di conoscienza, marcantoni tagliati con l'accetta e pronti sempre a sacrificio di sè (che fa molto russo). In molti racconti la Terra é governata da un organismo democratico, schiavitú e imperialismo sono solo ricordi; il credo ufficiale é la Scienza, che ormai ha praticamente svelato ogni mistero. Nei racconti in cui si parla di Unione sovietica, non mancano riferimenti alla maggiore ricchezza e prosperitá di questa sull’America (ricchezza e prosperitá che assicurano agli scienziati maggiori fondi).
A proposito, nei due racconti ambientati in America il capitalismo é descritto come un sistema che genera povertá e disuguaglianza (ovviamente l'Unione sovietica é rappresentata come un modello di democrazia e libertá). Allora si era in piena guerra fredda e la letteratura era terreno di battaglia: ovvio che pure la fantascienza dovesse essere allineata.
I traduttori sembrano un po' aricchiappati. A parte che i neri vengono chiamati negri, in un racconto mi sono imbattuto in un personaggio che cosí inveiva contro la tecnologia: le macchine... le possino!
Il saggetto introduttivo di Jacques Bergier non riserva meno sorprese: si parla di Bulgakov come di un minore, come di un caratterista (da ricordare giusto per la novella Uova fatali; Il maestro e Margherita saró pubblicato solo nel ’67) e gli si contrappone l'accademico Kataev (la cui fama non varca ora le antologie scolastiche russe). In una cosa peró Bergier non sbaglia, nel rilevare il valore del romanzo breve di Ivan Efremov, Navi di stelle, il testo piú lungo della raccolta, che da solo varrebbe tutto il libro, a parte un paio di racconti dei fratelli Strugackie (gli autori di Stalker, per intenderci, da cui Tarkovskij ha tratto il suo film).
Navi di stelle é ambientato nell’immediato dopoguerra.
Un
paleontologo cinese, prima di morire ammazzato da briganti, fa in
tempo ad inviare ad un suo collega russo un cranio di dinosauro con un foro che sembra quello di un proiettile. Il paleontologo vorrebbe proseguire
in Cina gli scavi interrotti, ma i capitalisti non lo permetteranno mai
ad un accademico sovietico! Allora dirotta le sue ricerche in Kazahstan,
dove trova un suolo simile a quello su il collega cinese lavorava (e
che presenta strati coevi a quelli cinesi). Sfruttando lavori di
sbancamento per la costruzione di una diga, vengono fatti scavi
colossali (all’epoca il costo del lavoro era comunque basso).
Ma come si spiega un cranio vecchio di 70 milioni di anni forato da un proiettile?
Il paleontologo chiede aiuto ad un suo vecchio amico, un biologo.
Facciamo
un passo indietro. Il biologo, all’inizio del romanzo breve, riesce
(molto miracolosamente) a recuperare il taccuino di un suo studente morto
in guerra (ritrova il taccuino dentro la carcassa del carrarmato dove é caduto il suo
studente!). Nel taccuino il biologo legge una rivoluzionaria teoria:
che le stelle non se ne stiano fisse nello spazio come tanti baccalá, ma
che vaghino secondo orbite galattiche! Biologo e paleontologo lasciano
mogli brontolanti e cercano conferme all’osservatorio astronomico e,
dopo alcune notti insonni, scoprono un gruppo di stelle che 70 milioni
di anni fa era nei pressi (a qualche anno luce) della Terra. È possibile, argomentano i due scienziati,
che alcune di queste stelle avessero dei sistemi solari da portarsi
appresso nelle loro orbite (da qui viene la bella idea delle Navi di stelle).
Ed é possibile che in alcuni di questi sistemi solari si trovassero dei
pianeti abitati da intelligenze evolute in grado di viaggiare fino alla
Terra per andarvi a cercare dell’uranio (necessario ai loro motori
atomici).
Bella teoria, ma bisogna trovare una prova. Le sole speranze sono riposte negli scavi.
In
Kazahstan intanto gli scavi procedono febbrili, ma senza risultati.
Addirittura gli operai, contagiati dall’entusiasmo dei paleontologi,
offrono gratuitamente il loro aiuto (un bell’esempio di come il Lavoro
aiuti la Scienza, commenta Efremov). Finalmente, verso la fine del
romanzo breve, viene trovato il reperto tanto cercato, sotto lo
scheletro di un dinosauro si scopre il cranio di una creatura
sconosciuta, ma che doveva essere molto intelligente a giudicare dalle
dimensioni della capoccia (simili a quelle del cranio umano). L’unica
differenza é che al posto della bocca, il cranio presenta un bel becco.