26 dicembre 2008

Da Roma!

Ieri, sera di Natale, passeggiata salubre a Trastevere.
Odore di pioggia e di fritti.
Visita a Santa Maria in Trastevere. Classica chiesa paleocristiana: nartece, tre navate, quella centrale con soffitto piatto, colonne e architravi sottratte a templi pagani, arco di trionfo, abside tondo e mosaicato.
Massiccia, ma discreta vigilanza da parte dei Caramba.
Mi stranisce già il nartece (piccolo portico all'entrata), che ospita il presepe. Anzi, mi stranisce un po' il presepe. Un'atmosfera politically correct aleggia sulla sacra rappresentazione: una roulotte di zingari, un centro accoglienza chiamato DREAM con un imbandito desco multiculturale, un pittore su sedia a rotelle e altre saponette che lavano coscienze progressiste. Le epigrafi incassate nel muro arriccerebbero il naso, se l'avessero. Entrati in chiesa il dubbio si fa quasi certezza: un prete conduce una preghiera, ma non dall'altare, dai banchi, ed è vestito in borghese, non con i paramenti sacri. Come uno di noi. Molto democratico.
Meno male che Cristo è risorto, altrimenti si rivolterebbe nella tomba.
Usciamo dalla chiesa, passeggiamo per le vie di Trastevere. Colgo brani di conversazione. Un cameriere si ferma a chiacchierare con noi e maledice il governo per la crisi che gli ha dato.
Passiamo davanti ad una piccola tea-room, il Giardino dei ciliegi. ERA una piccola tea-room, qualche anno fa, prima che lasciassi Roma per il Granducato. Ora è un locale alla moda e richiama Romani bolliti e annoiati alla disperata ricerca di quattro pareti che riescano a dar loro un tono. Anche gli snob mi paiono fatti in serie. Come i coatti.
Rimane la toponomastica a ricordarmi di essere Romano: via della paglia, vicolo della frusta, via dei salumi, via della renella (per tacere toponimi di santi o dell'antichità).

19 dicembre 2008

Idillio ai Caraibi

Mettete una notte tropicale e una spiaggia bianca. Da un lato le onde si rotolano tranquillamente sulla riva, dall'altro snelle palme da cocco ondeggiano alla brezza caraibica, piú in lá rilucono i ventagli umidi delle tozze palme del viaggiatore. Mettete un piccolo padiglione di legno a pochi metri dal mare, solo lo spazio per un tavolino e due sedie. Le sole luci, le stelle e una candela sul tavolo.

Facciamo un passo indietro.
Il penultimo giorno di vacanza la receptionist (quella piú simpatica) ci chiede di posare per un servizio di pubblicitá del ristorante dell'albergo, The Dolphins, piú tardi, verso le sei sei e mezzo (in Finlandia non sarebbe possibile: ti direbbero alle sei o alle sei e mezzo e tu dovresti essere lí alle cinque e cinquantanove o alle sei e ventinove). Fate qualche foto, vi offrono un drink e in un'ora un'ora e mezzo siete liberi.
Il giorno dopo andiamo al ristorante all'ora indicata. Ci siamo messi in ghingheri. Arriviamo e cominciano a servirci da bere i loro ottimi cocktails (comincio con un rum punch e poi mi dirigo verso uno spettacolare cuba libre). Arrivano altri ospiti dell'albergo per la stessa cagione. Scopriamo che non si tratta di foto, ma di un vero e proprio commercial, un filmato di trenta secondi che andrá in onda sulla televisione commerciale di St. Lucia (seguitissima, soprattutto da chi vuole investire nel mattone caraibico).
Arrivano le attrezzature per le riprese, arrivano la truccatrice, l'operatore e l'uomo di fatica, arriva il regista, un nanerottolo di Marsiglia dai tratti mongoli. E arriva l'aiuto regista, rasta di St. Lucia, a dirci che saremo i protagonisti dello spot! Mentre gli altri ospiti appariranno solo in sottofondo, sbocconcellando o sbevazzando, noi sosterremo le tre scene dello spot: l'ingresso al ristorante, la degustazione delle prelibatezze e, da ultimo, il drink nella red room.
Il regista é un tipo pignolo, ci fa cambiare camicia, dirige con febbrile eccitazione. Proviamo e riproviamo la scena dell'arrivo, dove una cameriera ci invita ad entrare e controlla i nostri nomi sul registro delle prenotazioni. Il regista non é soddisfatto, consumiamo i quattro gradini dell'ingresso. Finalmente il regista capisce che la scena non puó essere perfetta perché un semplice vaso la intralcia. Con febbrile eccitazione cerca di spostare il vaso, ma gliene rimane in mano un lembo mentre il resto frana su un altro vaso (innocente) che gli stava dietro. Con un colpo sbreccia un vaso e ne sfascia un altro. Tutti si sganasciano dalle risate, a parte la troupe, la manager del ristorante e il sottoscritto. Il regista, con febbrile eccitazione, non batte ciglio. Riprendiamo a girare. E alla fine, la prima scena é fatta.
Ci spostiamo ai tavoli, dove gli altri ospiti hanno giá preso posto e cominciato a scolarsi cocktails su cocktails (tutti gentilmente offerti e altrettanto gentilmente scroccati). Il regista, con febbrile eccitazione, sistema con cura maniale il nostro tavolo, riposiziona quaranta volte sale e pepe, fa e disfa la tenda una ventina di volte, aggiusta la tovaglia, i tovaglioli. Ho temuto che cominciasse pure a pettinarmi.
Portano da mangiare. A me danno un piatto di agnello panato (lo devo considerare una prelibatezza?) e a Lidia l'aragosta. Ma non possiamo mangiare, ci sono le riprese da fare. Ma le riprese non sono perfette, bisogna spostare un filo e il regista, con febbrile eccitazione, tira via il filo. Peccato che all'altro capo del filo ci fosse una lampada dell'attrezzatura. La lampada si sfracella sul pavimento sotto le risate di tutti. La troupe, la manager e io non ridiamo. Il regista, con febbrile eccitazione, non batte ciglio.
Finalmente arriva il nostro turno di girare la scena della degustazione. Peccato che ormai il cibo sia freddo. Il regista sa che non c'é tempo da perdere e impedisce che il cibo sia riscaldato. Lidia ed io dobbiamo fingere una romantica conversazione e deliziarci di quella roba fredda. La parte divertente é che nel fingere la romantica conversazione diciamo le peggiori cazzate in assoluto e poi assaporiamo quella roba fredda con sguardi al cielo e battiti di ciglia. A forza di provare e riprovare, praticamente ci siamo mangiati mezza cena (fredda). Quando il regista, con febbrile eccitazione, é soddisfatto, ci riscaldano quello che resta e che lo finiamo in santa pace.
Poi la serata si allunga troppo. Il regista perde progressivamente il rispetto degli ospiti, sebbene non abbia sfasciato piú nulla; anzi, gli ospiti stufi cominciano ad andarsene. Alla fine rimarremo solo Lidia ed io a girare in quattro e quattr'otto l'ultima scena, quella del drink nella red room, bevendo un buon caffé.
La manager del ristorante, per scusarsi del disturbo e per averci tenuti occupati tutta la serata (si sono fatte le undici) ci offre una cena a spese del ristorante nel padiglione di cui sopra, che é usato solo per le cerimonie di nozze.

Il cerchio si chiude. Torniamo al piccolo padiglione in riva al mare.
Il tavolo decorato con fiori é apparecchiato. A lato un carrellino porta vino bianco e rosso. Un piccolo menú con i nostri nomi é posato davanti a noi.
Tutto é perfetto. I due camerieri sono impeccabili, senza essere algidi. La cena é buona, ci servono foie gras, zuppa di funghi, mahi mahi (un pesce locale) e arance ripiene di mousse all'arancia.
Il modo migliore per celebrare l'ultima sera della vacanza.

12 dicembre 2008

Pikkujoulu al Centro Russo di Scienza e Cultura

Il pikkujoulu (letteralmente: piccolo Natale) è un'istituzione finlandese finalizzata alla celebrazione del Natale con i non-famigliari. E cioè amici, colleghi, commilitorni, compagni, camerati, amanti, nani e ballerine.
Ogni gruppo, associazione, società, ufficio, confraternita, loggia ecc. che si rispetti ne organizza uno.
Ieri abbiamo celebrato il pikkujoulu al Centro Russo di Scienza e Cultura (dove studio Russo; complimenti ai Russi che sanno elaborare nomi tanto altisonanti).
Ogni corso ha preparato qualcosa, secondo le sue possibilità. Noi abbiamo cantato la bellissima canzone Vecchio acero; a me, che sono negato per il canto, è stata affibbiata la lettura di un brano dell'Onegin puškinano (7, XXIX,12-XXX,8):

Вот север, тучи нагоняя,
Дохнул, завыл ― и вот сама
Идет волшебница зима.

Пришла, рассыпалась; клоками
Повисла на суках дубов;
Легла волнистыми коврами
Среди полей, вокруг холмов;
Брега с недвижною рекою
Сравняла пухлой пеленою;
Блеснул мороз. И рады мы
Проказам матушки зимы.

Ecco il vento, raccogliendo le nuvole,
ululava e soffiava; ed ecco in persona
viene la Maga dell'Inverno.

Arrivò, si sparse; con i fiocchi
si appese ai rami delle querce;
si distese con ondulati tappeti
in mezzo ai campi, intorno alle colline;
le coste con il fiume immobile
pareggiò di un soffice lenzuolo;
risplendette il gelo. E noi felici
degli scherzetti di Madre Inverno.

(la traduzione letterale e senza pretese è mia)

Ho avuto la fortuna di vivere questi inverni. Leggendo questi versi ne sono persino orgoglioso.
E che gioia leggerli in lingua originale!

Vacanze ai Caraibi: due approcci diversi - 2

Eppure c'é chi ha preso il pacchetto tutto incluso!
Che significa: colazione pranzo cena e drinks sempre e comunque in albergo.
Detto cosí pare un'idiozia, sapendo che lí fuori c'é un ben di Dio di ristoranti e locali!
Eppure c'é gente che non mette mai il naso fuori dall'albergo! Che riduce la vacanza a far la spola tra la spiaggia e il baretto dell'hotel (soprattutto i turisti inglesi li ho visti applicarsi con costanza alla frequentazione dei baretti e mantenere ininterrrotta la sbronza per tutto il soggiorno).
Ma per quanto possano variare i ristoranti degli alberghi, la scelta non sará mai comparabile con quella dei 2 km di Reduit Beach Avenue!
E qui scatta il paletto culturale. La maggior parte dei turisti non ha il palato viziato come noi Italiani. Per loro, mangiare una porzione di mahi-mahi con salsette creole e platani fritti oppure agnello panato e verdure au gratin non fa differenza. É tutto esotico, é tutto fico, pure le verdure au gratin (quando poi sentono la nostalgia di casa, si fanno una bella bistecca affogata in una pozza di disgustosa salsa barbecue e nascosta da una valanga di patatine fritte).
Noi Italiani invece ci focalizziamo troppo sul cibo e gli diamo un'importanza che talvolta rasenta il ridicolo (e non lo dico per snobismo e so bene quando da noi la socialitá e il mangiare siano collegati).
Quello che voglio dire é che la maggior parte dei turisti (e a St. Lucia vengono quasi tutti da USA, Canada e UK) non apprezza la possibilitá di una ricca scelta gastronomica.
Per farla breve, l'all inclusive a Reduit Beach é una gran cazzata, perché ti privi di tanta scoperte interessanti.
Quello che sanno fare ovunque, abbiamo notato, sono i cocktails. Ovunque ne abbiamo bevuto, erano sempre strabilianti. E non parlo solo di creazioni complicate. Anche un semplice rum e coca te lo facevano diventare un'esperienza al limite dell'estasi.
Il ristorante che ci é piaciuto piú di tutti é stato il Ti Bananne (ristorante del Coco Palm Resort). Ci abbiamo mangiato ben tre volte: due volte al buffet e una volta á la carte. Fa cucina creola, che é una specie di figliastra della cucina francese fortemente caratterizzata dalle materie prime caraibiche. Usano spesso una salsa al pomodoro piccantina (simile alla nostra, ma meno legata e meno forte per non coprire troppo i sapori), la usano addirittura sul pesce e sull'aragosta (per noi Italiani é strano, perché il pesce siamo abituati a mangiarlo praticamente cosí com'é, se non aggiungendo sale e limone; la tanto vantata aragosta con salsa creola al pomodero mi ha un po' deluso, rimpiango le semplici insalate di aragosta e melone verde che mangiavamo in Malesia dal cantonese Pak Su). Porzioni sufficienti. Dolci divini.
Ci é piaciuto anche il ristorante indiano Razmataz, ha retto bene il paragone con l'Amrit di Berlino e il Namaskaar di Hki.
Da Rituals Coffee (clone di Robert's Coffee) facevano un ottimo caffé. Da Nougatine abbiamo mangiato ottime paste (dolci e salate) e bevuto il tipico té al cioccolato di St. Lucia (fatto con farina di cacao aromatizzata con chiodi di garofano, noce moscata e cinnamomo e servito con un bastoncino di vaniglia).
E da ultimo, sulla strada per Castries, la capitale, c'era il banchetto del cocco fresco. Nostra meta fissa per la colazione (due cocchi freschi a capoccia).

fresh coconut
Quand'é che l'all inclusive conviene? Quando scegli un resort isolato, come l'East Winds Inn (ci é piaciuto molto e ce ne ha parlato molto bene una coppia d'Inglesi conosciuta in gita): spiaggia privata, nessuno che ti rompe le palle, ma ti serve la macchina a nolo (o il taxi) se vuoi andartene a cercare guai altrove.

11 dicembre 2008

Vacanze ai Caraibi: due approcci diversi - 1

Il dilemma, in veritá, si pone per tutte le vacanze. Nella sua formulazione piú generica puó essere cosí espresso: pacchetto tutto incluso o organizzazione fai da te?
Non é detto che una soluzione sia a priori piú conveniente dell'altra, intendendo conveniente non solo economicamente vantaggioso, ma in senso lato.
Nel nostro caso abbiamo preferito organizzare la vacanza da noi, in primis perché non avevamo la flessibilitá che il pacchetto tutto incluso t'impone, in secundis perché il pacchetto tutto incluso non ha la flessibilitá di cui noi avevamo bisogno.
Una volta arrivati sul posto, la scelta si é rivelata azzeccatissima.
L'hotel che abbiamo scelto, il Bay Gardens Beach Resort, si trova sulla Reduit Beach Avenue, un vialone con un lato tutti alberghi beach front (tra cui il nostro) e un lato tutto ristoranti e locali, praticamente il cuore della movida di Rodney Bay (il villaggio di Gros Islet, di cui Rodney Bay é una specie di "frazione", si anima solo il Venerdí sera, mentre a Rodney Bay é sempre Sabato sera). Prendere un all inclusive in mezzo a due chilometri e passa di ristoranti e locali vari non sarebbe stata una grande idea, perché ci saremmo privati della possibilitá di esplorarli!

view from balcony
(la vista dal balcone della nostra stanza)
(continua)

10 dicembre 2008

Premessa doverosa

Se cercate un posto con un inverno simile alla nostra estate italiana, i Caraibi possono fare per voi.
Mesi migliori Dicembre-Aprile. Mesi peggiori: Luglio-Ottobre (stagione delle piogge, o degli uragani, se siete sfigati).
Metteteci anche il mare incontaminato, di un colore turchese (o talvolta azzurro intenso; dipende se lo guardate dalla spiaggia o dal catamarano).
Detto cosí sembra preso paro paro da un volantino di agenzia turistica (da un flyer di tour operator, se vi piace di piú). Del resto queste sono le informazioni chiave che interessano alla maggior parte di chi fa turismo ai Caraibi (come in Tailandia, mar Rosso, Maldive, ecc.). Interessavano anche a noi, per caritá.
Anzi, a noi piú di tutti. D'estate praticamente la temperatura é sempre stata sotto i 20 gradi (a parte, fortunatamente, quando sono venuti a trovarci i miei e degli amici tedeschi). Ed é sempre piovuto (a parte come sopra). Ora abbiamo 4 ore di luce e quando siamo partiti ancora non era smesso di piovere (ora non piove piú: nevica).
Dimmi tu se non avevamo bisogno di sole e luce.
Dimmi tu.

Dennery Bay(questa é la baia del villaggio di Dennery, sulla costa orientale -atlantica- di St. Lucia).

4 dicembre 2008

Tipi da Caraibi

Cominciamo il resoconto dal maggiordomo. Cioé dalla fine.
Cioé disvelando subito i protagonisti del viaggio a St. Lucia (pronuncia ufficiale per chi non fosse anglista: Senlúscia).
Lei:

krutaja devochka in the jungle
E lui:

krutoj parin

2 dicembre 2008

Tornati!

Siamo tornati ieri sera!
Presto scriverò il resoconto della vacanza, corredato di foto.
Per ora mi godo l'invidia dei colleghi per l'abbronzatura!
Durante il viaggio di ritorno ci è esploso in valigia il pacco di cassava (farina di cocco). Ma il rum e gli altri liquori sono arrivati sani e salvi! E noi anche abbastanza indenni dalle boutiques di Heathrow, ché con la sterlina a pezzi resistere è difficile.

19 novembre 2008

Ci vediamo a dicembre!

Stasera partiamo per una breve vacanza di una decina di giorni.
Destinazione: un'isoletta delle Piccole Antille, St. Lucia.
Obiettivo: ignobile oziare
Attivitá principali: rosolarsi al sole, qualche nuotatina, un po' di snorkelling, qualche scarpinata nella giungla (dopo quelle in Malesia del '95-'96; un giorno dovró raccontarvi di quando sono stato circondato da una tribú di scimmie), una doverosa visita alla distilleria di rum, abbuffate di pesce, crostacei e frutta locali.
Lasciamo in Finlandia un tempo che piú brutto non si potrebbe immaginare: é buio, tristemente, cupamente e oppressivamente; la temperatura si aggira intorno ai 2-3 gradi, il significa che non nevica ancora (la neve porta incanto e luce riflessa), ma che piove continuamente e a vento.
Quasi ogni notte si scatena una tempesta. Roba da buttar giú gli alberi.
Mi piace attendere il sonno, ben ravvolto nella coperta, ascoltando la tempesta che infuria: il vento che suona a dovere le chiome delle conifere e la pioggia che mitraglia senza pietá muri e finestre di casa.

10 novembre 2008

La fine della rivoluzione - 1

Partecipo ad un concorso per bloggers e fumettisti, Blog&Nuvole. Il mio testo, La fine della rivoluzione, é stato incluso nei 35 testi che saranno a disposizione dei fumettisti per trarne dei fumetti.
Il testo descrive un viaggio nell'Altaj durante l'Agosto del 2006. Un giorno raggiungemmo un paese sperduto a 200 km dal confine con la Mongolia, dove novant'anni fa venne annunciata la rivoluzione rossa e si decise di non proseguire perché fino al confine era praticamente tutto disabitato. Per questa ragione, la statua di Lenin che si trova nel villaggio ha le braccia distese lungo il corpo (di solito il braccio destro alzato indica la strada in avanti e Lenin stesso é in cammino).

Inja
Nel villaggio si trova, se non erro, il primo ponte strallato in cemento eretto in Russia (gli stralli sono i cavi di acciaio; il ponte é tipologicamente simile al ponte di Brooklyn, per intenderci, ma é in cemento). Risale agli anni '30 ed é stato tirato su da carcerati dei gulag che si offrirono volontari in cambio di una significativa riduzione della pena (ma non possiamo immaginare quanto dure fossero le condizioni di vita e di lavoro in questa contrada sperduta).

7 novembre 2008

Vaasa e varie

Mercoledí della settimana scorsa si é tenuto un section meeting presso il nostro quartier generale a Vaasa.
Vaasa dista 50 minuti di aereo o 4 ore di treno da Helsinki ed é una sorta di capoluogo di quella sottile striscia di costa occidentale in cui si parla Svedese invece che Finlandese.
Va da sé che il section meeting é stato di una noia mortale. Il relatore aveva la brillantezza e l'appeal di uno zombi.
Dopo il meeting tutti in sauna (rigorosamente divisi per sesso in due edifici). Tra una sauna e l'altra ci siamo scolati varie casse di birra (non esagero).
Cena vichinga. Siamo stati tutti dotati di elmo cornuto e tunica da usare come tovagliolo e hanno portato quantitá abominevoli di carne (manzo e maiale) e salmone. Unica posata un coltellaccio. La fiera della proteina. I boccali non si faceva in tempo a vuotarli che subito venivano riempiti.
Verso le dieci di sera (la cena é cominciata alle sei), ci hanno scaricati al centro di Vaasa e tolto la catena. Io sono andato in un locale tranquillo vicino l'albergo, ma molti colleghi sono sciamati abbaiando alla ricerca della disco e del casino (impresa ardua il Mercoledí notte a Vaasa, credetemi).
Il giorno dopo erano tutti grigi, senza espressione, alle prese con un postumo terribile; ripetevano come un mantra "per quest'anno basta sbronze".
Tornati a Hki i colleghi sono andati a completare il collasso a casa, mentre io, dopo una doccia ristoratrice, sono andato al corso di Tedesco e poi di nuovo ad un party, l'inaugurazione di uno studio fotografico, probabilmente il principale di tutta la Finlandia, una di quelle feste di cui si parla nei giornali patinati.
Ambiente per me praticamente nuovo. Metá delle persone al party erano potenziali clienti dello studio e metá "artisti" che campicchiano con il sussidio.
Lo studio fotografico é subentrato nei locali di un jazz bar che ho frequentato negli anni scorsi (ci suonava spesso un amico), uno spazio ipogeo grandissimo e articolatissimo nel cuore urbano di Hki.
Il dj, mezzo persiano mezzo tedesco, creava un ambiente di house con forte colore mediorientale (il suo scagnozzo poi avrebbe spostato verso l'India le suggestioni sonore). Bar fornitissimo (ma io mi sono limitato ad un bianchetto spiccio). Fiera dei personaggi bislacchi. Un Chesterton sarebbe andato in brodo di giuggiole.
La categoria che mi ha impressionato di piú é stata quella degli ex modelli. L'ex-modello é piú decadente dell'ex-modella.
Ne ho visti un paio in giacchette da quattro soldi, misero tentativo di seguire la moda con le misere risorse del sussidio statale. Aria depressa, sbattuta, sfiorita, senza speranza. Invitati per crudeltá a party ai quali partecipano per illudersi di stare a galla. Non mancavano dei suonatori (non ce la faccio a chiamarli "musicisti"), famosi in Finlandia, lerci lerci e sbronzi marci; si definivano "artisti", ma mi pareva solo una scusa per imporre la volgaritá del loro sudiciume e del loro eccesso.
Ho visto cataloghi umani di nevrotici, vari casi umani, ragazzette vestite malissimo che si credevano Grace Kelly. Ho passato la maggior parte del tempo con il mio amico polacco (uno dei soci dello studio) e la moglie (anche lei polacca).
Il piú sfigato in assoluto della festa é un tizio americano che ha l'appartamento nello stesso pianerottolo dove abita l'ex moglie finlandese (mai dimenticata) con il nuovo marito (uno Svedese imbottito di soldi). Ma cambiare casa no, eh?
A causa della mia barba nera e incolta e della camicia nera, sono stato scambiato per un pasdar, la guardia della rivoluzione in Iran.

28 ottobre 2008

Il manipolatore di coscienze

Ieri al corso di Russo.
Come buon esercizio di conversazione, l'insegnante chiede ad ogni studente di raccontare quello che ha fatto uno o due giorni prima.
Visto che Domenica l'ho passata montando il mobile, indovinate cosa ho detto?
Che Domenica ho montato un mobile.
Ho aggiunto che le istruzioni facevano schifo e che le parti non combaciavano. Al che, frementi di orgoglio nazionale, le signore-madri e l'essere asessuato dal capello unto hanno chiesto: é un mobile Ikea?
NOTA
Essendo gli Svedesi secondi nella lista dell'odio (i Russi sono primi e irraggiungibili), i Finni hanno piacere nell'ennesima dimostrazione della qualitá infima di tutto quello che proviene dall'altro lato del golfo di Botnia (cioé la Svezia).
FINE NOTA
CONSIDERAZIONE SUL RAZZISMO
L'odio contro gli altri i popoli (maxime Russi, Svedesi, Estoni e Somali) e lo sciovinismo becero in Finlandia é ubiquo e lo si trova senza l'ombra del dubbio in tutte le classi sociali, dall'operaio al top manager.
Quando gli Italiani si dicono addosso di essere un popolo razzista, peccano per provinciale superbia: da quello che vedo andando in giro per il mondo, noi Italiani non siamo affatto razzisti.
FINE CONSIDERAZIONE
Insomma, sentivo su di me il peso dell'attesa della battuta che dissipa l'errore: sí, era un mobile Ikea!
Ma non lo era! E lasciando le signore-madri e l'essere asessuato a bocca aperta, ho dichiarato di aver comprato il mobile in un mobilificio finlandese.
Ho rischiato l'incidente internazionale. No, di piú: ho detto qualcosa di talmente aberrante per le orecchie finniche da neppur poter esser compreso dai loro modesti cervelli! Una cosa prodotta in Finlandia che non é fatta bene???
I filosofi stoici lo chiamavano semplicemente adynaton: impossibile.
Le signore-madri e l'essere asessuato mi chiedevano quale mobilificio finlandese potesse mai produrre un mobile non assolutamente perfetto. Io nicchiavo, traccheggiavo, davo informazioni totalmente inutili.
La tensione cresceva.
Giá sentivo serpeggiare contro di me tacite accuse di menzogna, di malafede (fidarsi di un Italiano sposato con una Russa?); un attimo prima che l'odio si scatenasse irrefrenabile, un attimo prima che le torpide coscienze finniche esprimessero definitivamente e irrevocabilmente contro di me il pollice verso, la catarsi: sí il mobilificio era finlandese, ma il mobile é stato prodotto in Estonia.
Eccola la quadratura del cerchio, la dimostrazione ultima del teorema! Sospiro di sollievo!
I cattivi Estoni lavorano male, bevono sul lavoro, si drogano prima e dopo il lavoro e poi vendono prodotti di infima qualitá ai poveri, innocenti, buoni Finlandesi.
L'ordine cosmico non é stato spezzato, ogni cosa ora é di nuovo a posto e la lezione é proseguita senza intoppi.

23 ottobre 2008

Interpretazione scientifica di fenomeni altrimenti inspiegabili

L'importanza degli studi scientifici!
So interpretare con correttezza un particolare fenomeno che si verifica in ufficio.
Qualche giorno fa avevo notato che er Ciáina non lasciasse piú scie radioattive all'aglio al suo passaggio. Romanticamente avevo ipotizzato l'influenza di una bella Cinesina.
Mi sbagliavo.
Adesso che er Ciáina é avvicinabile, é diventato inavvicinabile quell'Indiano sveglio ma primitivo, che viene dalle parti di Calcutta e che ha la ragazza russa.
Oltre che lasciare scie appesta anche le stanze nelle quali s'intrattiene.
DIVAGAZIONE
Er Carcutta, sposerá il prossimo Febbraio la sua Natassia. La cerimonia avverrá in India. Accanite le discussioni tra me e L. circa la natura del legame tra er Carcutta e la sua Natassia: per me sopportare le maniere primitive der Carcutta (in confronto a lui i pur selvaggi Finni paiono schizzinosi cicisbei) e la di lui ascella nucleare é prova lampante della disperazione di chi cerca il benessere e la sicurezza economica dell'Europa e s'attacca a tutto (ma proprio a tutto), per L. (la sua visione é persino piú maligna della mia) la Natassia é talmente semplice, cioé viene da un livello sociale cosí basso, che é naturale per lei aver a che fare con uomini come er Carcutta
FINE DIVAGAZIONE
Pe' falla breve: il terzo principio della dimanica recita che ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria: tu me togli la puzza der Ciáina e io te rimetto in circolo quella der Carcutta.
E non aveva torto il vecchio Lavoisier ad affermare che nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
In puzza.

Talkoot

Sabato scorso ci sono stati i talkoot. Ignoro il significato letterale della parola, si usa per indicare dei lavori collettivi (svolti nel giardino comune del comprensorio).
Famigerato appuntamento, una volta di primavera e l'altra d'autunno.
D'autunno i lavori sono potatura piante e rimozione foglie cadute.
Noi la prendiamo come un'occasione di stare all'aria aperta a far qualcosa, una delle ultime, visto che l'oscuritá e il freddo s'avvicinano inesorabilmente (soprattutto l'oscuritá).
L'anno scorso mi ero limitato a rastrellare le foglie cadute, quest'anno mi sono anche avventurato sul tetto per rimuovere le foglie dalle grondaie. Per chi non ha idea di che acquazzoni puó fare in queste contrade o quante giornate una dopo l'altra puó piovere ininterrottamente non puó capire la necessitá di tener pulite le gronde. Inoltre, d'inverno, l'acqua stagnante congelata potrebbe spaccare tutto.
Prima di salire sul tetto, un vicino mi ha messo un imbracatura con un moschettone dietro la schiena, che serviva per fissarci l'estremitá della corda. Sebbene l'operazione sia stata condotta secondo i crismi della sicurezza, il vicino sfoggiava un sorrisetto da "armiamoci e partite".
Sono salito sul tetto con un altro vicino, padre di due bambini piccoli.
La prima impressione é stata abbastanza adrenalinica: arrivo in cima e passeggiata su una stretta griglia; ci si fa subito l'abitudine. La lamiera zincata del tetto non é nemmeno scivolosa e il vicino teneva saldamente la corda, arrotolata per precauzione due volte intorno alla griglia. Non si poteva cadere nemmeno a buttarsi. Comunque l'arrivo alla grondaia é stato ancora piú adrenalinico. Mentre il rimuovere le foglie é stato quanto di piú prosaico si possa immaginare.
La seconda metá del tetto l'ha pulita il vicino e io gli tenevo la corda.
Dopo l'operazione ci siamo fermati a parlare sul tetto, nonostante il vento, godendoci la vista insolita e il solicello. Il vicino é originario di Oulu (cittá 150 km sotto il circolo polare, dove sono stato anni fa exchange student). Abbiamo parlato di aurore boreali; lui ne ha viste tante, io una sola e di un solo colore (verde). L'aurora boreale assomiglia ad un lungo lenzuolo che sventola nel cielo e che cambia continuamente colore. Quando l'ho vista, non credevo a quello che vedevo, soprattutto perché si muoveva velocemente, mi veniva da chiedermi se per caso fossi sbronzo marcio o sotto effetto delle peggiori droghe.
Tornati giú abbiamo spazzato le ultime foglie e abbiamo terminato i talkoot con una grigliata condominiale: c'erano makkara (salsiccia indigena) e quantitá industriali di birra e sidro.
Dopo quattro makkara e quattro birre ho dato forfait. Mentre i Finnici sono rimasti a scolarsi la birra con 5 gradi al sole.

21 ottobre 2008

Lo scempio del mondo

Nel 1943, durante l'occupazione nazista, lo storico olandese Johan Huizinga scrisse Lo scempio del mondo, un'analisi del significato e della storia della parola civiltá, seguita da una proposta di rinnovamento dell'ordine mondiale a guerra finita. Nel '44 Huizinga sarebbe stato arrestato per aver aiutato la Resistenza e morirá al principio del '45, poco prima dell'arrivo degli Alleati, aetatis suae LXXIII.
Huizinga, sulla base della definizione di civilitas data da Dante nel De Monarchia, intende per civiltá il processo dello sviluppo delle facoltá proprie degli uomini dallo stato di ferinitá verso la felicitá. Secondo Huizinga la storia dell'umanitá é leggibile come un nascere e morire di differenti civiltá. Nei periodi di decandenza si verificano delle perdite di civiltá, soprattutto morali, che non vengono rimpiazzate dal progresso scientifico e tecnico.
Si pensi all'anno in cui il breve saggio é stato scritto.
Nel descrivere la decandenza della civiltá occidentale, Huizinga si mette in compagnia di Guénon, Evola, Jung e molti altri. Tutti questi autori condividono l'idea che ci sia una relazione tra il progresso scientifico e tecnico e la perdita di valori morali e spirituali. A tal proposito Huizinga, ne Lo scempio del mondo, scrive:

Dappertutto si sentono le conseguenze della sempre piú vasta meccanizzazione dei rapporti sociali e della superficialitá della vita del popolo... Tutto ció che fu consacrato alle comunicazioni, all'industrializzazione divoratrice di campagne e all'inondazione di surrogati spirituali andrá registrato nell'elenco delle perdite irrevocabili.

Piú tempo passa e piú piena mi sembra la veritá di queste parole.

20 ottobre 2008

Яр

In questi giorni l'Istituto Russo di Scienza e Cultura (dove studio Russo) organizza un festival di cinema Russo contemporaneo. Giovedí a lezione ho preso un paio di biglietti gratis per un film che avrebbero proiettato Venerdí. Le uniche cose che sapevo del film: il titolo, Яр (Il burrone), e che era tratto da un racconto di Esenin.
Insomma, Venerdí andiamo a vedere Il burrone.
Entrati in sala (massimalista lusso sovietico), le tipologie di spettatori presenti non sono molto variegate. In primis vedo una giovane coppia di studenti: una ragazza con un'aria da intellettuale che si trascina dietro uno di quei ragazzi alti e passivi. Ma soprattutto Russi e Russe: giacche dal taglio antiquato con barba da filosofo per l'uomo, aggressivi stivali di vernice nera ed elaborate criniere bionde per le donne. I Finni, dimessi e insignificanti, quasi non si notano. Alla fine vediamo un volto amico, é quello di una signora-madre (del mio stesso corso) che si porta appresso la figlia.
Comincia il film. Apprendiamo che é del 2007 e che la regia é di Marina Razbežkina. La storia comincia con un sogno del protagonista, Kostja, in cui rivive un episodio dell'infanzia: durante una notte, le donne del villaggio giravano per i campi nude battendo padelle per scacciare il Male; gli uomini se ne stavano tranquillamente chiusi in un'izba a fumare, ma Kostja bambino, spinto dalla curiositá, esce dall'izba e, dobbiamo presumere, si becca in pieno il Male.
Kostja si sveglia, é solo un sogno. Arriva la madre che gli porta la camicia pulita: oggi é il giorno del suo matrimonio.
La prima impressione é favorevole: i costumi e l'ambientazione sono perfetti, la fotografia é magnifica (con viste di campi immersi nella nebbia).
Poi arriva la voce fuori campo del protagonista per dirci seccamente che lui amava un'altra donna, ma sposa Anna solo per obbedire alla madre; lui sa anche che Anna ama Stëpka. Comincio a preoccuparmi: in genere diffido delle voci fuori campo.
Poco dopo inizia un giro di sguardi tra i quattro vertici del chiasmo amoroso, occhi addolorati da filodrammatica di Rocca Sgurgola per le donne e occhiate da Rambo per Kostja. Una cosa pietosa. Se nelle intenzioni della regia c'era quella di suscitare emozioni o tensione, bé, provo emozioni piú intense quando mi si stacca un bottone dalla camicia.
Devi avere le palle di Sergio Leone e la colonna sonora di Morricone (e Clint Eastwood, Lee van Cleef e Eli Wallach) per fare una scena fatta solo di sguardi e senza una parola una. Da questo punto, dopo appena cinque minuti, é iniziata l'involuzione del film, durata altri lunghissimi novantatré minuti.
Si capisce il senso del sogno, cioé che Kostja si era preso il Male, cioé che porta sfiga, perché chiunque gli stia intorno muore. Il film finisce perché sono crepati tutti (a parte Kostja, ovviamente).
La storia é condotta senza uno straccio di filo logico (se non quella che ovunque Kostja vada, tutti quelli che gli stanno intorno prima o poi rendono l'anima).
Ogni tanto do uno sguardo a L.: segue il film impassibile, come se stesse seguendo una lezione di Cinetica discreta dei fluidi in Serbo-croato arcaico.
Quando il film va a rotoli, tutte le magagne vengono a galla. Come dicevo, costumi e ambientazione bellissimi, le comparse e i comprimari credibilissimi come contadini; anche Kostja viene dal villaggio, ma 1) non si sa che professione faccia; 2) lui é strafico: mentre tutti gli altri sono sporchi e mal vestiti, lui é sempre tirato a lucido (soprattutto sbarbato, anche quando vaga senza meta) e pare appena uscito da una boutique alla moda; mentre tutti gli altri sono analfabeti o sanno a mala pena leggere, lui legge Ovidio (tra l'altro sono riusciti a mettergli in bocca una citazione delle piú insulse e che soprattutto non c'entra niente con il film).
Una noia mortale.
L'unica cosa che si salva é la fotografia, che coglie con freschezza la Natura russa (campi, fiumi, foreste, estate, inverno).
Schizziamo via durante i titoli di coda (qualche coraggioso cinefilo siederá fino alla fine).
Prima di andarcene a casa, scambiamo quattro parole con la signora-madre e la figlia. Evitiamo commenti sul film; la signora-madre ci dice che anche la figlia studia Russo, ma da un mese solo. E io alla figlia, simpaticamente: allora fra poco ci raggiungerai (sebbene tra noi e lei ci sia almeno un paio d'anni di studio di differenza); e lei, acidamente, io studio alla Helsinki School of Economics, e il Russo che studiamo é business-oriented! Me cojoni, ma allora sei cazzuta!, avrei voluto dirle, ma non sapevo come tradurre me cojoni in Inglese. Mi limito ad uno: immagino quanto sia business-oriented il tuo Russo dopo appena un mese! E la madre, che aveva visto che la figlia aveva giá a sufficienza cagato fuori dal vasetto e non voleva che continuasse a farla per terra, interviene: sí, sa contare fino a 12!
Piccole stronze crescono. Tra l'altro la Helsinki School of Economic conta quanto il due di picche.

17 ottobre 2008

Sforzo titanico

Della serie "ieri ho salvato una ragazza da uno stupro selvaggio e sai come? trattenendomi".
Tranquilli, ieri non c'era nessuna ragazza e nessun desiderio che non avesse l'imprimatur vaticano. Epperó mi sono titanicamente trattenuto.
Tranquilli, nemmeno faccio riferimento ad alcun improrogabile e incontenibile diktat intestinale.
Piú che altro sto parlando di un gesto nobile e disinteressato, come quello di non calare il due di briscola quando l'avversario é costretto a scartare un asso bollente, cioé di non approfittare della situazione per trarvi spudoratamente vantaggio. Vivere la convinzione che perdere sia da gentiluomini e vincere da cafoni, che sia piú elegante stare in torto che aver ragione ed esser stronzi (a Roma, saggiamente, la ragione é degli stronzi).
Ma non divaghiamo.
QUANDO: ieri
DOVE: corso di Russo
Si leggeva un racconto di
Čehov, in cui alcuni personaggi vengono descritti strafogarsi in una trattoria di Mosca per una colazione alle tre del pomeriggio: gory blinov (montagne di frittelle) spalmate di burro e caviale, bottiglie di vodka, zuppe, etc. Soprattutto quello chiamato hozjain (il padrone) gli dá giú di brutto (e dopo tre ore aveva anche un qualche pranzo ufficiale). Tra l'altro era una tortura indicibile leggere di quell'abbuffata un'oretta-un'oretta e mezzo prima di cena (i miei succhi gastrici facevano scintille).
Insomma, ad un certo punto del racconto uno apostrofa altri come dikary. Ci guardiamo l'un l'altro ignorando il significato di dikary. In realtá non ci guardiamo l'un l'altro, perché i Finlandesi per qualche oscura ragione erano assenti a scuola quando hanno spiegato "condividere i sentimenti"; sono io che guardo gli altri (le signore-madri e l'essere asessuato frangipalle) alla ricerca di un barlume di emozione nelle loro facce (che hanno la rara qualitá di essere flosce e granitiche a un tempo).
L'insegnante che ha l'energia e la comunicativa di un'artista di strada ci viene in soccorso e ci spiega che dikary sono quelli che abitano ad esempio le foreste o luoghi sperduti, vivono allo stato di natura (brillantemente ha descritto lo stato di natura come l'ignoranza del bene e del male) e sono primitivi, belluini: dikary sono i "selvaggi"!
Ed é qui che ho performato lo sforzo titanico, l'epica impresa di trattenermi.
Perché se mi parli di gente che vive nelle foreste, é primitiva e vive allo stato di natura (cioé ha saltato a pie' pari tutto il drammatico percorso della civiltá per ritrovarsi improvvisamente con un Nokia in mano), bé, scusate, ma a me vengono in mente i Finlandesi. Perché la loro semplicitá e il loro essere diretti ad un Europeo possono apparire come patente ferinitá, smaccata rozzezza; soprattutto la loro mancanza totale di background storico li costringe senza redenzione all'ignoranza del conflitto morale che urge nel cuore di ogni uomo civilizzato e, conseguentemente, alla brutale mancanza di qualsiasi profonditá intellettuale.
Semplicemente, non potevo dire quello che pensavo (quella non era la sede adatta).
É stata dura.
Ma ce l'ho fatta
Ho taciuto.

7 ottobre 2008

Domenica 5 e Lunedí 6

Domenica 5
05:30: sveglia;
06:00: taxi per Schönefeld;
07:45: decollo per Ciampino;
09:45: atterraggio a Ciampino, taxi per casa;
10:15: arrivo a casa, piccola colazione (la seconda, dopo la prima a Schönefeld; chi resiste alla crostata di mia madre?), preparativi per il matrimonio;
12:00: Messa in una chiesetta moderna all'Ardeatino;
13:45: uscita degli sposi, accolti a manciate di riso;
14:30: arrivo al ristorante in zona Casale della Lingua (in quel limbo cotto dal sole tra la pineta di Castel Fusano e il lusso di Casal Palocco), buffet all'aperto, buffet all'interno (passiamo la maggior parte del tempo con il fratello dello sposo e sua moglie; apprendiamo che sono in partenza per Sidney; lui si prenderá un anno sabbatico e un MBA; un MBA me lo farei anch'io, ma piú in lá, l'anno sabbatico anche subito);
16:45: declamazione dello scherzoso epitalamio che ho scritto in onore degli sposi;
17:45: partenza dal ristorante;
18:15: arrivo a casa, preparativi per la partenza;
18:45: taxi per Ciampino;
20:35: decollo per Schönefeld;
22:30: atterraggio a Schönefled, aiutiamo un signore di Firenze a prendere la S-bahn;
23:00: sul taxi per casa (lotta selvaggia sotto la pioggia per accaparrarsene uno);
23:30: arrivo a casa;
23:31: sonno profondo.

Lunedí 6
08:10: sveglia; prepariamo le valigie, sistemiamo la nostra stanza, salutiamo la padrona di casa;
09:30: U-bahn per Bahnhof Zoologischer Garten, autobus per Tegel;
10:00: arrivo a Tegel;
11:05: decollo per Hki
14:20: atterraggio a Hki
15:00: in uffcio.

3 ottobre 2008

Viaggio e viaggio nel viaggio

Siamo di nuovo in partenza: oggi pomeriggio saremo a Berlino. Cercheremo di concentrare lo shopping necessario entro oggi, per poterci dedicare Sabato ad una lunga giornata a zonzo senza programmi.
Domenica voleremo a Roma per partecipare al matrimonio di un amico d'infanzia. Ho preparato un epitalamio per l'occasione. Domenica sera torneremo a Berlino e Lunedí mattina di nuovo a Hki.
Due parole sul mio amico d'infanzia.
Le nostre madri erano compagne di scuola. Abitavamo in due palazzine contigue del Quadraro. Ci parlavamo (urlavamo) spesso dal balcone.
Abbiamo fatto l'asilo e le elementari insieme, in una scuola presso l'Acquedotto Felice (il nome di Felice deriva dal nome di Sisto V prima che diventasse papa, Felice Peretti). Passavamo spesso i pomeriggi a giocare a casa mia o sua. Abbiamo combattutto memorabili battaglia con soldatini, Lego e Playmobil. Ai nostri giochi era ammesso suo fratello, di un anno piú piccolo, ma non il mio (a quell'etá i quattro anni e mezzo che ci dividono erano incolmabili).
La famiglia dei miei amici si trasferisce in Belgio, in una base NATO, sono figli di un militare. Fanno in Belgio le superiori e tornano a Roma per studiare in una prestigiosa universitá privata.
Il fratello maggiore fa un'esperienza di lavoro in America. L'America gli piace e ci rimane a lavorare e a studiare. Fa un master in relazioni internazionali a Georgetown. Prende persino la cittadinanza americana. Ma il cuore l'ha lasciato a Roma. Dove c'é la sua ragazza e la loro figlia.
Si sposano Domenica.
Il fratello minore sta facendo una brillante carriera a Parigi.
E io in Finlandia (per ora).
Ne abbiamo fatta di strada dai tempi dell'Acquedotto Felice.

Er Ciáina sfoggia una bella maglia bianca. E solo da una settimana.
Presumo che la porterá come minimo altre due.

Spesso lo sento parlare con uno dei nostri Coreani. Er Ciáina assume toni solonici. Entrambi si lamentano della solitudine.
Certo, se er Ciáina cominciasse a portare maglie e camicie uno o due giorni invece che due o tre settimane e cominciasse a non lasciare mortali scie d'aglio ovunque passi, forse, dico forse, potrebbe lamentarsi meno della solitudine.

30 settembre 2008

Weekend a Roma - 3 il party

Sabato sera cena da Michela, come da programma.
Tre le delizie: 1) gli antipasti fritti e la pizza; 2) la conversazione con gli amici; 3) l'ambiente, i camerieri, i clienti.
Devo spiegare cos'é un supplí? un fiore di zucca fritto? un'oliva ascolana? un filetto di baccalá? una bella pizza romana fina fina e scrocchiarella con funghi e salsicce sopra?
Mi son goduto la chiacchiera cor Pinta e donna (ho lasciato moglie e Polacchi al loro destino, fortunatamente er Cento-all-ora aveva portato un'amica che parla Inglese). A pensarci bene non mi ricordo di cosa abbia parlato cor Pinta: mi pare del suo lavoro, della magnata che si sono fatti a pranzo; mi sono accorto che cominciavo la metá della mie frasi con "a Berlino...". Quello che ci siamo detti (urlati, per essere onesti, perché da Michela c'é sempre un casino "clamoroso" -pleonasmo tipicamente pintiano) alla fine ha poca importanza, quel che conta era il piacere di stare insieme, che era il vero senso intimo delle nostre parole. Non sono mancate rievocazioni di personaggi universitari, di sbronze e di debolezze d'intestino.
Dopo cena e dopo la mezz'oretta abbondante che abbiamo impiegato per salutarci davanti la pizzeria, abbiamo lasciato i Polacchi in albergo, ho lasciato L. stanca a casa e sono andato al party di compleanno della mia amica G.
Arrivo verso l'una, a furori sbolliti, la gente comincia giá ad andarsene. Ho con me un litro di vodka finlandese e per la festeggiata una bottiglia di champagne e la guida automobilistica di Francia del '50 (comprata la mattina).
Al citofono il mio nome non dice nulla, ma per qualche oscura ragione mi aprono e mi fanno pure la grazia di suggermi il piano (come non lo sapessi!).
Entro e la prima impressione é quella di trovarmi alla matinée a casa Guermantes ne Il tempo ritrovato. All'arrivo in casa Guermantes il Narratore aveva l'impressione di trovarsi ad una festa in maschera, gli sembrava che i suoi amici si fossero travestiti da vecchi, lui mancava da anni per essere stato in una casa di cura.
Mi spiace scomodare Proust, ma ci sono molti punti di contatto tra la sua storia e la mia: anch'io vengo da alcuni anni di permanenza in quel sanatorio per malati di mente che é la Finlandia e anche a me la prima impressione é stata il constatare quanto fosse invecchiata gente che non vedevo da quattro o cinque anni. Alcune che avevo lasciato ragazze le ritrovavo donne giá semi-sfiorite.
Solo tre persone sono rimaste le stesse, anzi sono migliorate in bellezza ed eleganza (anche dai Guermantes c'é Odette ancora bella, giovane ed elegante). La padrona di casa G, la sua amica L e l'amico attore S.
S é alto, ha una camicia lillá e la barba da dio greco (sicuramente seduce moltitudini di semidei); L ha sempre quell'aria fresca e ingenua e quella lieve malinconia degli occhi e nella voce; G sprizza gaiezza da tutti i pori, ma con una classe, che di questi tempi volgari pochi sanno apprezzare, e con intelligente luciditá (nonostante i drinks).
Ho scambiato qualche parola con un giovane funzionario del ministero degli Esteri (l'ultima volta che l'ho visto era appena laureato e preparava angosciato concorsi). Mi ha ricordato d'istinto il Carlo Valletti protagonista del pasoliniano Petrolio. In realtá Pasolini descrive Carlo alto, magro, dedito a notti selvagge con venti borgatari alla volta e pieno di nostalgia per il cazzo di Carmelo, mentre il mio amico é basso e di quella rotonditá asessuata e pretesca da cattocomunista (ignoro se vagheggi cazzi). Eppure mi paiono molto simili (forse e soprattutto assomiglia al Carlo-donna o ancora di piú al Carlo-santo castrato al culmine del cursus honorum).
Altro incontro croccante é stato con il piú figo della festa (che aveva al seguito un amico NECESSARIAMENTE non figo, ma devoto).
Ora, io non sono mai stato un figo (in Italia dico, qui in Finlandia gli indigeni sono talmente non-fighi e ineleganti che per essere fighi basta sfoggiare una felpa Baci & Abbracci) anche perché l'esser fighi é una qualitá che non é intrinseca alla persona, ma dipende dal consenso altrui, per cui gran parte dell'esser fighi é generalmente quella di saper interpretare gli standard vigenti (le uniche categorie intellegibili alla "gente"), cioé in soldoni seguire le mode. E se permettete preferisco farmi apprezzare da pochi per quel che sono piuttosto che beneficiare del superficiale plauso generale per quanto sono bravo a seguire la moda.
Insomma, incontro il piú figo della festa con l'amico devoto al seguito (amico che spera nutrirsi delle briciole che cadono dal tavolo del piú figo) proprio vicino al reparto bevande; il vino era praticamente giá finito al mio arrivo e il mio rifornimento di vodka ha dato una notevole accelerata alla festa (di per sé molto sobria).
Nel frattempo qualcuno aveva riesumato il titolo di ingegnere-poeta affibbiatomi per versi scritti anni fa, titolo che serpeggiava nelle conversazioni.
Insomma, il piú figo della festa mentre beve la mia vodka finlandese si trova davanti l'ingegnere-poeta e mi chiede se la vodka l'abbia portata io.
Di solito quando due uomini s'incontrano per la prima volta combattono un veloce duello fatto di sguardi e parole per determinare il piú presto possibile di chi sia la supremazia (si compete maxime in successo professionale e personale). Anche l'incontro del piú figo della festa con l'ingegnere-poeta é stato caratterizzato da questo veloce duello.
Il piú figo della festa, che stupido non é, ha fatto due piú due: ingegnere-poeta (qualunque cosa possa significare), viene dalla Finlandia: questo va trattato con le molle. La sua circospezione ha sconfinato nel rispetto quando gli ho chiesto se per caso fossimo colleghi (mi pareva di aver capito cosí cogliendo brani di una conversazione), lui mi ha dovuto rispondere che é farmacista. Un farmacista del Tiburtino, per quanto ben vestito, per quanto figo, é e rimane un bottegaio (stavolta detto con malizia) e ben poco ha da competere con un ingegnere (poeta) che vive in Finlandia, lasciatemelo dire senza superbia e falsa modestia.
La nostra conversazione si é interrotta lí (continuarla sarebbe stato imbarazzante per il farmacista e poco interessante per me). Non é stata definita la supremazia di nessuno perché lui non avrebbe potuto in nessun caso imporla su me e a me non me ne frega una mazza di imporla su nessuno: sono stati tacitamente concordati non belligeranza e rispetto delle reciproche zone d'influenza; a lungo andare si sarebbe di sicuro scatenato un conflitto, ma certo non durante il breve tempo di una festa (a meno che si fosse in competizione per qualcosa o qualcuna, cosa da escludere per quanto mi riguarda).
C'era qualcosa che non mi convinceva nel farmacista. Sui trentacinque-quaranta ben portati, camicia bianca, elegante giacca blu con pochette (io semplici jeans e camicia nera), mi pareva anche troppo figo per la festa. Sfoggiava una sicurezza un po' irritante (una specie di calma salomonica e sfrontata che gli derivava dal considerarsi figo), ma non osava troppo perché sapeva che piú della giacca elegante (e di quell'aria impettita) poco altro aveva a disposizione. C'era qualcosa che non mi convinceva, dicevo, e alla fine l'ho scoperta! Poco prima di andarmene, il farmacista s'é seduto e ha accavallato la gamba, mostrando uno scarponcino scamosciato verdognolo con un tacco cosí. Primo: sei nano e pure complessato se ti metti un tacco tanto (non c'é niente di male nell'esser bassi, ma ce n'é forse nell'esserne complessati); secondo: la scarpa non c'entra una mazza con la giacca e allora decade l'ipotesi d'eleganza. Avevo capito: il farmacista, il piú figo della festa, non era altro che un ossequioso replicante di modelli televisivi, con la sua giacca blu da mezzobusto da tiggí, non era altro che un farmacista nano travestito da presentatore televisivo. Una gran bolla di sapone. Uno che pensava di "valorizzarsi" mettendosi una giacchetta alla Ricucci, ma alla fin fine stai a venne l'aspirine alle vecchie der Tibburtino.
Dopo le due ci siamo ritrovati seduti in circolo con un nanerottolo ventruto e pelato che ci parlava di riflessologia con lentezza socratica. Il nanerottolo appariva convinto, ci credeva, ma in realtá era solo il buffone del farmacista (nella cui farmacia esercita), che aveva piacere ad esibirlo ed assumeva un'aria tra il manageriale e il paterno. Gli invitati fingevano attenzione con molto garbo.
A me dopo trenta secondi di apologia della riflessologia mi sono scoppiate le palle e sono uscito in terrazzo a godermi la vista sulla basilica di san Giovanni in Laterano. Ci ho trovato un tizio e una Francese ubriaca.
La Francese la conoscevo giá, ha velleitá d'attrice (ero stato in contatto con lei per un mio piccolo monologo, che, essendo in bocca ad una donna belga, era perfetto per la sua erre moscia), ma lei non mi ha riconosciuto subito, marcia com'era (con tre complimenti se la sarebbe rimorchiata pure l'amico devoto del farmacista). Quando mi ha riconosciuto, nota la fede al dito e mi fa, trionfalmente: ti sei sposato! Eh,sí, dico io. E tua moglie? É a casa, era stanca. E lei: sei proprio Italiano! (volendo significare con ció la peggior specie di vigliacco mentitore traditore figlio di ecc.) Io lo prendo come un complimento (meglio passare per maudit che per santo) e ripeto: eh, sí.
Conobbi la Francese a casa di G qualche anno fa. Me la ricordo fasciata in un abito di velluto nero, di una magrezza molto intellettuale e nervosa, con la sigaretta in una mano e un bicchiere di vino bianco nell'altra: mi fece una certa impressione, tant'é vero che la cercai per il monologo (poi non andato in porto). Ora non mi sembrava altro che una segretaria sola, stressata e bulimica. Senza una caccola di fascino, parlava sguaiatamente a voce alta. Non mi ha lasciato altra scelta che tornarmene a casa.

29 settembre 2008

Weekend a Roma - 2 il magazzino dei libri

Sabato mattina ho aperto gli occhi alle cinque e mezza e ho capito subito che non avrebbe avuto molto senso provare a riaddormentarsi, per cui ho preso un numero della rivista Imperi (un tentativo di produrre una pubblicazione di geopolitica da destra, ma che ancora non puó concorrere con Limes) per potermi dedicare almeno ad un'oretta di lettura mattutina, ma poco dopo mio padre s'é alzato ed abbiamo parlato per un paio d'ore di lavoro (si é parlato maxime di Finlandia, Arabia, Russia, Polonia e India). Non ho perso l'occasione per farmi una lauta colazione con certi biscottini di paese che non hanno l'eguale.
Dopo le otto, la casa ha cominciato a prendere vita, la televisione accesa, i fornelli cominciano a lavorare (ne ho approfittatto per un'altrettanto lauta seconda colazione con gli stessi biscottini), viavai nei bagni, le finestre aperte, i rumori e gli odori della strada fluiscono pian piano all'interno, si programma la giornata, si esplora il frigo, ecc.
Fisso una visita al magazzino dei libri.
Esco verso le nove e mezza e raggiungo a piedi il vicino magazzino. Una strada che percorrevo abitualmente quando vivevo a Roma. Mi guidano soprattutto gli odori, tintoria, giornalaio, cassonetti, deiezioni animali, ma anche asfalto, lamiera di macchina sotto il sole, tubo di scappamento, pizza a taglio, gommista, scuola, mercato e viale con platani. Veloce visita alla chiesa parrocchiale, con vecchie velate intente nell'adorazione perenne o in pettegolezzi d'oratorio. Mi godo la luce, che mi é famigliare, l'ombra sui muri di tufo, le facce pregne e un filino amare di chi aspetta l'autobus, scooter che sfrecciano con indifferente prepotenza, rumori di tazzine di caffé dalla penombra dei bar, il raschio dialettale di vecchi fumatori che passano la giornata a parlare di calcio, che ti fanno la radiografia con un'occhiata.
Arrivo al magazzino dei libri e mi tuffo anima e corpo tra gli scatoloni, le casse e la polvere. In una stanzetta trovo subito materiale croccante (Epitteto tradotto in Latino dal Poliziano e in Italiano da Leopardi, in una vecchia edizione tascabile). L'inizio é ottimo: alcuni volumi di una storia dell'Unione sovietica del '76 riedita dall'Unitá nel '90 (mi interessa la lettura della storia dell'URSS fatta dai comunisti quando ancora il comunismo era scientifico -negli anni Settanta- e riproposta ne' '90 -quando la Storia lo stava definitivamente sputtanando). Una chicca meravigliosa: un saggio sull'infanzia negli USA e nell'URSS (sempre degli anni '70) che comincia con la domanda sulla terza di copertina: perché i bambini americani manifestano fin da giovanissimi la tendenza a copiare e a maltrattare l'altrui proprietá? (sottintendendo che quelli sovietici fossero modelli di perfezione) e, per chi non avesse chiara la posizione dell'autore, la sezione dedicata all'America comincia con il capitolo sul fallimento del sistema educativo (sempre sottintendendo il successo di quello sovietico).

DIVAGAZIONE
Via internet ho ordinato un opuscolo pubblicato in Russia in Italiano nel '73, s'intitola URSS 1973. Nella prefazione si dice che il 1973 é un anno importantissimo per l'Unione sovietica perché é quello di mezzo del piano quinquennale 1971-75. Giá nei primi due anni del piano quinquennale tutti gli obiettivi sono stati raggiunti e superati e nel 1973 l'Unione sovietica ha conseguti successi in campo economico, culturale, artistico ecc. (nelle pagine successiva si spiega come sia cresciuta la produzione, di quanto siano aumentati i salari, ecc.).
La veritá é che negli anni '70 i paesi socialisti contrassero ingenti mutui con l'Occidente senza dare praticamente alcuna garanzia di poterli estinguere, pretendendo essenzialmente l'Occidente in cambio maggior rispetto dei dei diritti umani (vilipesi nei paesi socialisti). I paesi socialisti usarono questi fondi per aumentare il benessere materiale del popolo ottenendo un certo ritorno di consenso (piú che altro fu un baratto, un certo relativo benessere per la sospensione temporanea del dissenso che stava diventando incontrollabile giá dalla fine degli anni '60).
FINE DIVAGAZIONE

In un angolo trovo una vecchia edizione tascabile del Gregorovius (ma mancano i primi volumi, quelli che m'interessano di piú) e la scarto. Poi scopro un filone di vecchi bignami degli anni '30: ne scelgo uno che s'intitola Il verbo greco (una raccolta di tutte le forme verbali irregolari, praticamente una lista di aoristi). Se trovassi una vecchia e buona grammatica greca e una latina le prenderei al volo.
Passo nello stanzone principale. Nel filone tedesco (dove peró si sono impunemente infiltrati autori svedesi) scopro un dizionario etimologico tedesco degli anni '30; fecondo anche il filone francese, una guida automobilistica della Francia del '50 (di cui faró buon uso) e una bella bibbia del 1905. Nel filone religioso scovo una raccolta di pensieri di sant'Alfonso Maria de' Liguori del 1888, santo cui mia madre é particolarmente affezionata.
La ricerca non si ferma, prendo alcuni tascabili BUR degli anni '50, un'edizione pregiata di Trilussa (non il mio favorito, gli preferisco di gran lunga il Belli), una biografia di Albert Schweitzer (amato da mio fratello) e una guida dell'Italia centrale del TCI del '37 (l'anno scorso ne trovai una della Lombardia, che donai al mio croccante amico milanese). C'é tutto un filone di pubblicazioni del TCI e a Natale forse prenderó qualcosa (ma fan piú gola ad un urbanista).
Chiudo con una selezione petrarchesca di Natalino Sapegno, con il De Sanctis onnipresente nelle note.
Dopo quasi tre ore una telefonata mi richiama bruscamente alla realtá e torno a casa.

Weekend a Roma - 1 il volo

Recensire questo w/e passato a Roma mi pare impresa difficile e spero non si limiti ad un elenco di cose fatte o, nella migliore delle ipotesi, ad una lista di emozini provate.
L'inizio é stato in salita: i nostri compagni di viaggio, i nostri due amici polacchi (moglie e marito), rivelavano giá da due settimane prima della partenza ansie da prestazione turistica e tipiche nevrosi da mitili di scoglio, intendendo con ció le nevrosi di chi non muove mai il culo da casetta e ignora le piú semplici costumanze da tenersi in itinere. NB: il mio non é snobismo (anche perché io come viaggiatore non sono un granché, avendo costantemente sotto il naso -e nel sangue- l'esempio di chi passa fuori casa 9 o 10 mesi l'anno nei posti piú strampalati).
Le mie lievi preoccupazioni sono bruscamente lievitate ad agghiacciante terrore quando il Polacco mi ha tenuto per piú di mezz'ora al telefono, pochi giorni prima della partenza, con l'intento di prenotare online posti vicini. Fortunatamente il mio DNA italiano mi ha permesso di glissare con garbo, ma un dio burlone volle che nonostante tutto capitassimo tutti e quattro quasi gli uno accanto agli altri.
Man mano che il decollo si avvicinava il furor sacro del Polacco cresceva (la Polacca é mooolto, ma mooolto piú calma). Entrati in aereo, ero convinto che il Polacco cadesse in crisi epilettiche e cominciasse a vaticinare minchiate. Ma mi sbagliavo, é andata peggio: rimossa infatti con sorprendente abilitá la passeggera che mi divideva da lui, si é installato accanto a me e per tutto il viaggio mi ha tempestato di domande insulse che di solito cominciavano cosí: come si dice in Italiano...?
Il Polacco, a parte la gran rottura di palle (quando uno mostra interesse verso il mio Paese sono ben lieto di dargli tutte le spiegazioni che posso dargli, ma era palese che non si sarebbe ricordato delle cose che gli dicevo o che non le avrebbe mai capite), soprattutto mi ha privato delle tre ore e passa di volo che avrei potuto sfruttare altrimenti in feconda lettura (la qual cosa é massimamente imperdonabile e che gli ha fatto perdere, seduta stante ed irrecuperabilmente, tutti i suoi diritti a Roma).
A proposito del Polacco. É un fotografo pubblicitario di primo livello a Hki (come professionista non gli si puó dire niente), ma essendo un sedentario (nell'accezione peggiore del termine) e scarso di cultura e istruzione (a parte l'informatica), non puó vantare grandi capacitá di comprensione delle differenze culturali, limitandosi a concepire il diverso attraverso gli stereotipi piú banali. Il problema é che lui non é in grado di andare oltre questi stereotipi, non avendo alcun background culturale, e quindi ogni mio tentativo di spiegargli qualcosa di Roma (dell'Italia) che non fosse immediatamente riconducibile a stereotipo noto, andava infallibilmente a vuoto (nella migliore delle ipotesi lui decostruiva la mia argomentazione per riplasmarla vuotata di senso nella rozza semplicitá delle sue matrici stereotipiche).

26 settembre 2008

Appuntamenti irrinunciabili e divagazione sull'identitá

Oggi si parte per Roma. Breve w/e a casa.
Come sempre pretenderó l'impossibile dalla mia agenda. No, questa volta sará diverso: l'imperativo sará take it easy!
Il fatto é che, oltre a doverose e improcrastinabili esigenze di shopping, certi appuntamenti sono comunque irrinunnciabili:
1) la visita al magazzino dei libri: due ore (come minimo) a rovistare dentro cassette di libri per estrarne (tra quintali di polvere e monnezza) pregiate chicche come certe edizioni economiche operaie di scrittori sovietici sconosciuti (dei tempi in cui il comunismo era venduto per scientifico), relitti dell'epoca der Puzzone, prime edizioni di Papini, di Huizinga, vocabolari Greci e Latini d'inizio Novecento (che mi mancavano a Espoo, avendo lasciato i miei a Roma), un dizionario tedesco del '43, persino un'edizione secentesca (rovinatissima) delle lettere a Lucilio di Cicerone;
2) la cena il Sabato sera da Michela (piú che una pizzeria, una seconda casa), in cui una ripassata agli antipasti fritti esalta il gusto del cazzeggio con gli amici. Amo particoralmente questa pizzeria perché si trova nel quartiere popolare di Ostiense, ma in un angolo che ancora resiste alle catene di montaggio della fighetteria capitolina, ai serragli dei finti ribelli snob e dei viziati studentelli fankazzisti; ci vanno a mangiare i lavoratori, veri eredi dei borgatari pasoliniani. Tifano Lazio, magari si dicono pure "fasci" (ma in un senso tutto loro, in un misto di luoghi comuni e bisogni reali, in cui "fascismo" é giustizia sociale, sicurezza e benessere; "fascismo" opposto a "comunismo" inteso come partito della pagnotta o vaniloquio chic) oppure tifano Roma e si dichiarano "comunisti" (si sentono democratici, i soli che facciano "qualcosa per il sociale" e si contrappongono dialetticamente ai razzisti). Mi piacciono perche sono lavoratori, non imbelli capelloni che vanno avanti a chiacchiere e ignorano il sacrificio. Quando sedevo da Michela mi piaceva tendere l'orecchio ai tavoli vicini e ascoltare le conversazioni (la loro lingua é piú pura quando parlano tra di loro) e soprattutto mi piacevano i nostri cazzegghi, che potevano essere anche molto intelligenti (perché competevamo in arguzie e per allusioni intendevamo cose diversissime da quelle di cui stavamo parlando).
Ora tutto questo é morto, almeno per me. Ogni cena da Michela é una visita al cimitero, perché io non sono piú quello che mangiava abitualmente lí. Negli ultimi quattro anni ho frequentato piú i ristoranti etnici di Berlino che Michela, il mio cuore ha palpitato piú passeggiando lungo le strade di Schöneberg che per la via Ostiense; ho nuotato piú nei fiumi siberiani e nei laghi finlandesi che nel Tirreno; ho raggiunto nuove familiaritá con nuovi amici, nessuno di questi da Roma, e ho esercitato nuovi argomenti di conversazione, nuovi modi di fare ironia. Le cose viste da 3000 km di distanza non sono piú le stesse e non posso prendermi per il culo a far finta che non cambino.
Tutto morto. La cena da Michela é una visita al cimitero. O, se volete, un'analisi stratigrafica di un perduto me stesso.
Tutto questo mi porta spesso a chiedermi qual é il vero me stesso? Il me stesso hic et nunc é un segmento troppo breve per potercisi raccapezzare.
Per un breve tratto di curva, derivando si ottiene la tangente, come dire, si quaglia, si ha un'idea di dove si é, ma quando il tratto é lungo e la curva irregolare che si fa? Si spezza la curva in segmenti derivabili. E qual é il me stesso allora? Questa serie di tangenti incongrue e sghembe?
Se non avessi lasciato Roma sarei rimasto lo stesso, la tangente sarebbe rimasta quella, saprei forse chi sono. Ma se non avessi lasciato Roma avrei consciuto una sola retta, non potrei nemmeno immaginare che ne esistano altre! Non avrei mai potuto scoprire altri me stessi, cioé condizioni in cui io sia sempre io eppure diverso da quello di prima.
Messa cosí dovrei persino far fatica a riconoscermi. Eppure stranamente ogni mattina quando mi alzo so chi sono.
Oltre ad aver coscienza di certe mie caratteristiche basali di persona ho chiara la mia identitá.
L'identitá é come una bussola, come un navigatore GPS per essere piú moderni. Le mie caratteristiche basali non le considero indisponibili (come alcune parti del patrimonio statale), ma la mia identitá sí.
Per identitá intendo l'appartenenza ad un valore inalienabile, ad un'idea irrinunciabile. La mia idea irrinunciabile é Roma, la mia identitá é civem romanum esse.
Ho scritto civis romanus, non Romano. Qualsiasi idiota nato a Roma é Romano, nascere a Roma é un accidente; essere civis romanus é una scelta, un'elezione. Per me essere civis romanus é avere il proprio fondamento in quella che Cicerone chiamava "humanitas" e che per lui e i suoi contemporanei era la "cultura", l'esercizio cui ogni uomo (civis, cioé evoluto) dovesse dedicarsi e che per noi diventa l'ereditá romana e greca.
Ovunque mi trovi, chiunque io sia (per me é la stessa cosa), so di poter beneficiare di questa ricca ereditá, che non é autoritá insindacabile quanto piuttosto ricordo un un nonno buono, la cui preziosa memoria informa gentilmente la mia vita senza pretendere di governarla.

22 settembre 2008

Passeggiate autunnali

Una volta montata la cucina nuova (montata da un operaio con baffo e sorriso sveglio cui sono molto piaciuti i cioccolatini russi che ingenuamente abbiamo lasciato indifesi nel salone), pensavamo che il piú fosse fatto. Ci sbagliavamo. Primo: bisognava mettere al loro novello posto tutte le cose che avevamo abitato i prischi scaffali e che erano giaciute neglette in scatoloni; secondo: bisognava ripulire casa dalla zozzeria accumulata in questi giorni di grandi manovre.
Operazioni che abbiamo portato a termine soprattutto nel w/e, durante il quale abbiamo anche trovato il tempo per due lunghe passeggiate, per goderci l'ultimo tepido sole dell'anno: l'autunno spoglio e oscuro arriverá presto.
Piú che il trascolorare al giallo e al rosso delle foglie, piú che l'abbassarsi inesorabile delle temperature, piú che l'accorciarsi altrettanto inesorabile delle giornate, é la migrazione delle papere a darci la certezza di non poter piú sperare: quando i topi abbandonano la nave... qualche dubbio ti deve venire.
La consapevolezza che questi sono gli ultimi tepori solari dá una magia tutta sua al passeggiare, come l'ultimo bacio prima che un treno ti porti via nella nebbia tra sbuffi di vapore.
Sopra le nostre teste, le papere volano in stormi immensi a forma di V e non posso fare a meno di pensare ad agguerrite formazioni di Stuka.
Noi che ci muoviamo a piedi non diamo peró l'impressione marziale di guerrieri della Vermacht  e guadagniamo pacificamente il lago Lippa (Lippajärvi in Finlandese) attraversando una striscia di prato tra giardini curatissimi (come solo dei nazisti maniaci dell'ordine potrebbero avere) e un lembo di bosco. Lungo la nostra linguetta di prato serpeggia un sentierino che arriva ad una microscopica spiaggietta su cui sono tirate in secca tra la verzura barchette colorate e ad un piccolo molo con due panchine.
Il lago é a forma di fagiolo e sue le acque sono di una limpidezza rara. Il lago vicino casa, il lago Lungo (Pitkäjärvi) ha acque torbide (e una forma tipo alabarda spaziale, ma molto tozza).
Flora é ancora verde. Solo le betulle ingialliscono (presto avranno quell'aspetto zen come nelle vignette di Charles Schulz). "Ingialliscono" non é la parola adatta, il loro ingiallire é in realtá una via di mezzo tra lo sfiorire e il rinsecchirsi. La betulla é uno di quegli alberi che da solo mette tristezza e acquista forza solo nel gruppo (un po' come gli individui mediocri). Anche il pado (Prunus Padus) ingiallisce. E poi c'é l'acero. Non so se in Italia ce ne siano (é un albero nordico), qui é molto comune (come in Canada e in Russia). Dire che le sue foglie diventino gialle o arancioni é poco, é scontato, sarebbe come dire che la Nona Sinfonia é bella. Il giallo e soprattutto l'arancione hanno un'intensitá impressionante, una pienezza divina. Si deve parlare di qualitá ontologica: non stiamo piú parlando del colore della foglia, la foglia non é che il povero supporto di un'epifania cromatica.
Sto studiando come un matto Tedesco.

16 settembre 2008

Weekend a Berlino

Venerdí
Elaborazione del ritorno in Europa; spesucce; cena indiana con amici russi e qualche drink all'Alien a Hackescher Markt.
Sabato
La mattina presto L. dorme, vado a leggere nel salotto. Mi alzo e do un'occhiata ai libri che la ex padrona di casa di L. tiene nella sua biblioteca. I titoli mi affascinano: Quando le estati erano calde, I cimiteri sotto la luna ecc.: penso a romanzi classici, con trame, personaggi e descrizioni comme il faut, ambientati nella provincia francese e dominati da un personaggio carismatico; penso borgesianamente a un salone buio dove leggo questi romanzi presso un piccolo lume dalla luce gialla durante una notte fuori dal tempo e dallo spazio.
Numerosi i romanzi rosa: sulle copertine sono rappresentati uomini giovani e muscolosi che tengono tra le braccia donne in amore e in svolazzi di nastrini e chiome.
Colazione in un piccolo caffé; due Russi, probabilmente ebrei emigrati dall'Unione sovietica negli anni '80, parlano d'antiquariato.
Shopping a Ku'damm; laddove la mischia é piú furiosa, brillano taglienti sotto la luce del neon le carte di credito.
Pranzo giapponese.
Gelato (italiano) a merenda con amici tedeschi e poi alla stazione centrale a prendere i genitori di L. che tornano dalle cure termali a Karlovy Vary.
Alla stazione mi tornano in mente le vacanze InterRail, soprattutto le notti in treno: il mantra ipnotico e rassicurante della locomozione e l'oscuritá del vagone o dello scompartimento quali condizioni ideali per concentrarsi nella lettura, nella scrittura o nella rievocazione delle avventure dei giorni precendenti; il fascino visionario della notte fonda, di paesaggi indistinti persi nel buio o illuminati violentemente; l'avvantaggiarsi dell'altrui sonno per contemplare indisturbati un bel volto di fanciulla o una faccia interessante; il giorno dopo trovarsi in una cittá sconosciuta mentre attorno l'indaffarata incoscienza di chi vive una giornata come un'altra; il freschetto della mattina mescolato alla stanchezza allucinata della notte quasi insonne.
Cena tedesca.
Domenica
Colazione nello stesso piccolo caffé del Sabato; ritroviamo i due Russi. Andando al piccolo caffé passiamo per Ludwigkirchplatz. Nel giardinetto davanti alla chiesa intitolata a san Luigi IX, in una posizione un po' defilata, c'é una statua dedicata al santo re. Statua finto-medievale, immagino, perché piú medievale del vero medioevo (manderebbe in brodo di giuggiole un Huysmans): San Luigi é in pompa magna con cotta di maglia, grembiule crociato, libro, spadone (se non erro), barbetta, chioma regale e trionfale sorriso e al suo braccio é allacciata la moglie in beata adorazione del marito, pare una fan che abbia appena sposato la sua amata rockstar ed é sul punto di liquefarsi d'incredula felicitá; San Luigi é massiccio e rigido, la moglie invece flessuosa e dinamica.
C'é stato un tempo in cui in Europa si veneravano santi guerrieri. Come sono lontani quei tempi!
Istintivo il dubbio che da allora abbiamo perduto "pezzi di civiltá", per dirla con Huizinga, che si rifá alla definizione di civiltá data da Dante nel Convivio.
Gruppetti di passeri sciamano qua e lá; riconosco alcuni uccelli descritti con amorevole zelo da Bosch nel trittico del Regno millenario. Se non avessi letto Fraenger non saprei riconoscere quegli uccelli.
Lunga passeggiata fino a Kreuzberg. Giornata fredda, ventosa, grigia (comunque freddo, vento e grigio piú miti che in Finlandia); giá i tigli cominciano a esporre foglie rosse o gialle.
Dürüm a Yorkstraße.
Ancora scarpinata fino a Potsdamerplatz. Gelato. Di Sabato soprattutto adolescenti in tiro; di Domenica famiglie.
Bambini e ancora bambini. Di tutte le etá. Dal passeggino alla preadolescenza. E madri ovunque intente ad aiutare i piú piccoli a mangiare il gelato, a spalmare su braccine cicciotte tatuaggi temporanei, a sgridare i piú monelli, a dare qualche cucchiaiata di rapina alla poltiglia semiliquida che non hanno il tempo di godersi.
Isolate in mezzo al mare magnum di bambini vedo due donne, madre e figlia. La figlia a metá dei trenta e la madre dopo i sessanta. Entrambe magre.
Magre rispetto alle madri cui la cura della prole ostacola la cura della propria persona, magre rispetto a queste madri un po' tonde, un po' spettinate e un po' stanche.
Magre, vestite con cura e con cura pettinate. E aride come la morte. Sterili.
Non magre, ma rinsecchite. Sfinite d'egoismo.
Mangiano il gelato in silenzio come malati il brodino in ospedale, ingenuamente in fuga dai loro immacolati appartamentini di 50 mq in perenne penombra. Mentre intorno bambini con sbavature di cioccolato sulle guance e patacche di fragola sulle magliette vivono il gelato incoscientemente, come esperienza di gusto totale, infinita.
Nella figlia una venatura di rimpianto balugina liquida negli occhi, unico spiraglio di libertá dal dominio assoluto della madre, dal rigido cipiglio di vecchia preside.
Passeggiata fino a Hackescher Markt. Dalle bancarelle presso la Humboldt Universität compro tre libri, un atlante del 1928 in Tedesco, un'asciutta guida alla Pskov antica in Russo degli anni '50 e un'introvabile Cultura borghese di massa in Russo (Mosca, 1985), poderosa critica socialista alla cultura borghese occidentale (e poderosa propaganda).
Cena al ristorante italiano Il Sorriso.
Lunedí
Elaborazione del ritorno in Finlandia; zuppa di salmone consolatoria al Sea Horse.

12 settembre 2008

Il ritorno dell'ingegnere ingegnere

Tempo fa ho scritto un paio di post (qui e qui) su un neolaureato che lavora da noi. Il neolaureato é il tipico esempio di ingegnere ingegnere (cioé l'ingegnere totalmente immerso nel suo mondo, da evitare il piú possibile, come la peste in fase terminale di aids e un principio di lebbra).
Ultimamente il neolaureato mi ha intrattenuto sfoggiando la sua conoscenza in materia di fonti energetiche, servendosi di parole come "peak oil", "plateau" eccetera; mi aveva quasi convinto quando mi ha detto che "siamo dei professionisti e quindi DOBBIAMO avere un'opinione al riguardo",  ma poi, quando gli ho chiesto il prezzo di un barile di petrolio, lui mi ha detto 140 dollari e in quei giorni era giá sceso intorno ai 120.
Stamattina, mentre mi preparavo il mio cappuccio al curry, lo sentivo blaterare di seriosi argomenti d'ingegneria con i colleghi anziani (i quali trarranno sicuramente gran beneficio dalla sua profonda esperienza di neolaureato).
Quel suo prendersi maledettamente sul serio (che in soldoni significa andarsene in giro con uno sguardo fisso e perso nel vuoto e vestito sciattamente), quella sua pedante cocciutaggine nello sviscerare qualsiasi aspetto della meccanica del continuo (che certo scatena la libidine femminile), unita al darsi arie di decennale esperienza sul campo, sono il mio esatto opposto.
Insomma, io mi stavo preparando il mio cappuccio al curry e lui entra in cucina a prendere un po' di quella ciofega che esce dalle macchine del caffé finniche; peró, mancando oggi la segretaria, il caffé non era stato fatto. E lui se n'esce con uno strano ibrido anglo-finlandese: Perkele, kahvi's ended! (Diavolo, il caffé é finito!). Ma l'ha detto con un tono agghiacciante, come se il mondo ora non potesse piú essere salvato, come se a Superman la mattina al bar rifilassero un cornetto alla kriptonite, come se la diga che aveva progettato e la cui costruzione seguito per anni, cedesse all'inaugurazione e la valanga d'acqua investisse la classica scolaresca sfigata in gita.
Ma non ti rendi conto quanto sei ridicolo? Con la tua aria da bufalo immusonito a meditare le armonie celesti, con la tua aria idiota da dio in Terra e soprattutto con il tenente Colombo come personal shopper!

8 settembre 2008

Un duro weekend

Questa settimana ci monteranno la nuova cucina.
Il weekend é stato speso nello svuotare tutti i pensili (che é stata anche impagabile occasione per buttare un sacco di roba scaduta) e nel rimuovere la vecchia carta da parati dalla cucina.
La vecchia cucina era quella originale degli anni '80 (di quando é stata costruita la casa; a queste latitudini gli anni '80 sono l'epoca di Cola di Rienzo e gli anni '50 quella di Cheope e Micerino); funzionava ancora bene, per caritá (a parte la lavastoviglie), ma andava sempre piú assomigliando alla cucina di nonna Papera.
Ho progettato la cucina secondo il compromesso di assecondare le nostre esigenze e quelle di un futuro acquirente finnico: l'ibrido mi pare piacevole, per lo meno sulla carta; vedremo come sará dal vivo!
Sabato abbiamo spezzato il duro lavoro festeggiando il compleanno della ns amica polacca.
Abbiamo cominciato al solito Sea Horse (la zuppa di salmone non ci ha deluso nemmeno questa volta): eravamo una decina di persone (nazionalitá presenti: 3 Polacchi, 2 Italiani, 2 Finlandesi, 1 Russa, 1 Colombiana e 1 Olandese).
Italiani: io era una ragazza della provincia di Forlí; ha il ragazzo indigeno (ma indigeno evoluto, parla Italiano e gesticola come un Italiano! NB evoluto non perché parla Italiano, ma perché imbevuto di standard sociali e culturali europei; abbiamo piacevolmente conversato di Joyce e Proust (siamo partiti da Svevo), che lei (laureata in Lingue) ha letto in lingua originale.
Dopo cena siamo andati al solito Kaisla e mi sono concentrato sui ns amici polacchi (coppia che andrá a Roma nobiscum a fine mese).
Il Polacco afferma di non amare il pesce. Sfido, dico io, non sei mai andato piú a Sud di Breslavia: tu il vero pesce non l'hai mai mangiato!
Quando saremo a Roma, ti porto a mangiare il VERO pesce a Ostia in un certo ristorantino. Il Polacco mi esterna un cauto ottimismo. Ma siccome io sono bastardo dentro, non ho perso l'occasione di terrorizzare lui e la moglie (la festeggiata), descrivendo con inquietanti accenti una semplice insalata di mare come un orribile miscuglio di tentacoli di polipo in spasmi e calamari tremolanti, il piacere di un'ostrica come un supplizio nazista (per l'ostrica); sono rimasti interdetti persino dalla mia ambigua descrizione di un semplicissimo fiore di zucca fritto. Adesso non sanno piú se essere contenti di andare a Roma o no. Aggiungiamoci il fatto che li abbiamo sistemati in un convento di suore vicino casa, che nella loro mente é qualcosa di simile al monastero de Il nome della rosa (ma che in realtá é una classica palazzina romana anni '50, di un nitore ospedaliero).
A metá serata, l'Olandese si presenta con un vassoio con due bottiglie e vari bicchieri. Le due bottiglie sono di una birra di albicocca prodotta in Belgio. L'olandese é appassionato di birre, ne parlerebbe per ore; peccato che abbia la stessa vis icastica di una vecchietta che recita il rosario!
Questa birra odora di merda, ma il gusto é un po' meglio, ci dice l'Olandese (traduzione letterale). La odoro: al mio olfatto arrivano fragranze di vomito, con nuances acide. Il sapore é terribile. Lui é l'unico che l'ha bevuta. Ogni volta che lui si allontanava, io  gli riempivo il bicchiere con gli avanzi degli altri bicchieri. Lui il suo bicchiere lo vuotava sempre: o era sbronzo marcio e avrebbe bevuto qualsiasi cosa o beveva per non darci la soddisfazione di ammettere di averci offerto una ciofega.

4 settembre 2008

Pioggia e chiacchiere

Non mi ricordo da quanti giorni piova.
Ogni tanto c'é una pausa, di solito quando sono in ufficio o casa. Poi riprende con intensitá maggiore, soprattutto sugli arredi in legno del giardino (che si sono raddoppiati di volume per l'acqua presa).
Stamattina andando al lavoro pioveva a catinelle (a secchiate) e a vento (e non é nemmeno la condizione peggiore: il peggio é la nevicata a vento, meglio se di notte, alla fine dell'inverno e con croste di ghiaccio sparse irregolarmente sull'asfalto; roba che ti devi portare appresso due paia di mutande di ricambio) e non ho potuto resistere alla tentazione di guidare ascoltando la Musica sull'acqua di Händel (avevo il cd in macchina).
Ieri proficua conversazione in ufficio con il Canadese.
Figura infelice, come tutti gli stranieri che sono venuti in Finlandia per la bionda, ha fatto la solita trafila matrimonio-prole-divorzio e ora é condannato a vivere in Finlandia per star vicino a detta prole. Ne ho incontrati a pacchi come lui: aspettano che i figli arrivino a 18 anni per poter andarsene. Anche er Canada é della combriccola, ma piú lucidamente ammette che quando i figli saranno maggiorenni lui avrá 50 anni e "a 50 anni dove cazzo vado?" mi ha chiesto (traduzione libera, ma fedele). Secondo lui il 90% degli stranieri in Finlandia si trova nella sua stessa situazione (non posseggo statistiche ufficiali, ma la percentuale mi pare verosimile), intentendo per stranieri gli Occidentali (gli altri, marocchi, bangladesh e somalia, sono esclusi dalle statistiche in quanto rifugiati, scroccatori di assegni di mantenimento o clandestini).
Poi er Canada é passato a raccontarmi delle sue passate esperienze lavorative: in Finlandia ha lavorato in una grossa multinazionale, ma nella filiale finnica c'erano 200 Finni, lui e un Olandese. Diceva che i Finni lo trattavano come una merda e non gli davano fiducia sul lavoro perché straniero (gli posso credere), mentre la nostra compagnia, dal punto di vista sociale, é molto meglio (ed é vero, essendo i Finni maggioranza relativa e quindi costretti ad evolversi dalla loro provinciale ferinitá per simpatetico beneficio dovuto alla vicinanza con stranieri, anche se del secondo o terzo mondo).
La ciliegina sulla torta: secondo er Canada il lavoro é organizzato male e c'é una sacco di gente che non fa una mazza, tipo er Ciáina, che non sa che ruolo abbia nella compagnia (me lo chiedo anch'io) e che si fa vivo ad ogni morte di papa quando ha un problema (anche da me qualche volta si é affacciato con domande al limite dell'implausibile).
Er Ciáina da questo punto di vista mi ricorda un tale che lavorava al dipartimento di architettura dell'universitá di Oulu (dove facevo la tesi) con la misteriosa mansione di "architetto di laboratorio". Tutti si chiedevano in che consistessero i suoi compiti e io lo vedevo sempre affacciato alla balconata interna con quell'aria scazzata da impiegato pubblico (figura professionale che ho avuto modo di conoscere per benino da vicino quando ero attaché al ministero della difesa ai tempi della naja). Una volta sono entrato nel suo ufficio e ho notato che vi era appesa una sola immagine: un collage sbiadito di un progetto di villetta unifamiliare con foto (mi ricordo di due donne sorridenti e con acconciature anni '80 sedute nel salotto), sicuramente l'unico suo progetto in tutta la sua vita

26 agosto 2008

Viaggio in Siberia - 2 Visita a Tomsk

Non é mancato il viaggio nel viaggio. A Tomsk.
Tomsk, costruita nel 1604, é una delle cittá piú antiche della Siberia.
É stata una cittá di una certa importanza nei secoli passati, ma adesso non gode di particolare prosperitá. É comunque caotica e viva: la locale universitá richiama numerosissimi studenti (ho sentito che gli studenti rappresentino circa un quinto della popolazione, in una cittá da mezzo milione di abitanti; sinceramente la cifra mi pare eccessiva, anche se tutto il centro di Tomsk é disseminato di edifici universitari).
La cittá giace sulla riva destra del fiume Tom' (affluente dell'Ob'), che fungeva da bastione naturale. Le opere difensive sono ora trasformate in un belvedere.

belvedere sul Tom
Il nucleo piú antico sorgeva ovviamente sulla sommitá della collina ed era difeso da una palizzata di legno. Oggi la cittá é strutturata secondo un maglia reticolare ottocentesca, scandita secondo un cardo e un decumano che s'incrociano a T. Le espansioni novecentesche hanno rotto il ritmo preesistente e sono stati creati nuovi assi viari a stella connessi da immense rotonde o dalla classica grande piazza con la statua di Lenin.

Lenin
L'impressione generale é quella di una cittá intasata, inquinata e decaduta.

per strada a Tomsk
Si sono conservati moltissimi esempi di architettura in legno precedenti la rivoluzione, soprattutto i palazzi di ricchi borghesi e nobili (riconoscibili dalle decorazioni a cortina sopra le finestre). Lo stato di conservazione é variabile.
Insieme a Tobolsk é l'unica cittá ad avere un quartiere tartaro (costruito quasi essenzialmente di edifici in legno).

quartiere tartaro a Tomsk
Notevoli risorse sono impiegate nel restauro degli edifici religiosi (di quelli che sono scampati alla furia iconoclasta rivoluzionaria; in molti casi si tratta di ricostruzione). Questa é la chiesa della Resurrezione:

chiesa della Resurrezione, Tomsk
Abbiamo alloggiato all'Hotel Sputnik, torre sovietica in cemento armato. Le camere sono enormi e arredate in stile sovietico. Deve essere frequentato da molti stranieri, perché tutte le informazioni sono in Russo e in Inglese e la mattina é persino servita la colazione (che di solito non viene offerta negli hotel russi). Le stoviglie che abbiamo usato per la colazione avrebbero fatto la gioia di un collezionista di modernariato.
La sera abbiamo mangiato in una specie di mensa incasinatissima che ospitava un attrezzatissimo angolo giochi per i bambini. La cucina non era per niente male. Offrivano anche la pizza piperoni (sic) e una non meglio specificata pizza tirolese.

pizza a Tomsk
Forti acquazzoni si alternavano a rapide schiarite. La visita al monumento a
Čehov é avvenuta durante uno di questi acquazzoni.
Mi hanno detto che se si esprime un desiderio toccando il naso di Čehov  questo di avveri; io ho chiesto bel tempo, ma non ha funzionato.

čehov