6 febbraio 2010

L'arte del cazzeggio (e una sua applicazione)

Il cazzeggio é una roba seria. Per spiriti sopraffini. Ed é per questo che é un'arte in cui gli Italiani signoreggiano (arte come techne, naturalmente).
E per cazzeggio intendo non giá l'innocente far ridere proprio dei poveri in spirito (la comicitá, l'umorismo sono alla portata di tutti, anche dei piú stolidi), ma quell'arte con cui si afferma una cosa volendo dirne un'altra e il tutto arricchito da una continua tensione dialettica, in cui gli interlocutori si sfidano a suon di motti arguti. Il motto arguto é dimostrazione di intelligenza e il vero cazzeggiatore non ride mai, ma "capisce" il motto. E a un motto se ne ribatte con un altro, come uno scambio di stoccate nella scherma. Si ride solo quando si é touché, solo per riconoscere il "punto" all'altro.
Ovvio che nell'arte non si riconoscano regole precise. E l'arte del cazzeggio non fa eccezione. Inoltre la definizione di cui sopra é personalissima (e opinabilissima).
Molto dipende dagli interlocutori e dal genio dei loro spiriti.
Non conosco nessuno tanto geniale nel cazzeggio quanto un mio compagno di classe del liceo ora embedded nella frenetica Bruxelles da bere (da cui occhieggia alla Cina). Il cazzeggio con lui giunge ad altrimenti inarrivabili apici di virtuosismo e a inimitabili scambi di stoccate (soprattutto quando é dato un tema e il cazzeggio si sviluppa attraverso infinite variazioni del medesimo tema).
Un'applicazione terribile del saper cazzeggiare é la presa per il culo. Anche qui, prendere per il culo é alla portata di tutti. Che ci vuole a far ridere sfruttando una cazzata (o, slealmente, un difetto) altrui?
In realtá la presa per il culo non ha il fine di muovere al (sor)riso, ma di mostrare l'acutezza del proprio spirito di osservazione (che nota il particolare invisibile seppur sotto il naso di tutti) e la finezza della propria intelligenza. E una fine presa per il culo la definisco secondo due condizioni:
a) la persona presa per il culo non se ne accorge;
b) la presa per il culo é invece evidente a tutti gli altri.
Esiste una terza condizione accessoria (per raggiungere la perfezione):
c) la persona presa per il culo pensa che chi prende per il culo sia un po' cojone (mentre é manifesto che non lo é a tutti gli altri).

19 gennaio 2010

É fatta

A inizio febbraio mi trasferisco a Berlino. Moglie e figlia mi raggiungeranno piú tardi.
 Berlino

3 gennaio 2010

Una frase di Eliot

"An individual European may not believe that the Christian Faith is true, and yet what he says, and makes, and does, will all spring out of his heritage of Christian culture and depend upon that culture for its meaning. Only a Christian culture could have produced a Voltaire or a Nietzsche. I do not believe that the culture of Europe could survive the complete disappearance of the Christian Faith."
("Un cittadino europeo può non credere che il cristianesimo sia vero e tuttavia quel che dice e fa scaturisce dalla cultura cristiana di cui è erede. Senza il cristianesimo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietzsche. Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto.")
T.S. Eliot, Christianity and culture 
 
La frase mi piace perché sintetizza efficacemente come l'Europa (e tutto l'Occidente) sia (anche) christiana e come il misconoscimento di queste origini segni il punto di non ritorno nel cammino di autodistruzione degenerativa intrapreso dall'Europa (e da tutto l'Occidente).

22 dicembre 2009

Passeggiata nei dintorni

Abbiamo portato la bambina a prendere un po' d'aria cogliendo l'occasione del temporaneo innalzamento della temperatura (solo -6 oggi!).
pass01 pass03

21 dicembre 2009

Global warming

Mercoledí 16 (a mezzogiorno) dalla ns camera da letto:
mezzogiorno Venerdí 18 questo segnava il termometro di prima mattina:
termometro (considerando che, essendo il termometro incollato al vetro esterno della cucina, un minimo di calore comunque passa per irraggiamento e la temperatura indicata é sempre leggermente ottimista); questa era la vista dalla ns camera da letto:
mattino Stamattina, dopo l'abbondante nevicata di questa notte:
neve

26 novembre 2009

L'arte di saper ascoltare - 2

Non rimpiango niente della mia vita a Roma. Non nel senso sociale e politico che l'Italia sia un medioevo oscurantista clerico-fascista berlusconiano, mentre la Finlandia l'evo moderno il progresso la civiltá ecc. Penso invece di vivere al di lá del limes, nella barbarie di un mondo ancora acerbo e troppo giovane, un mondo che non ha ancora trovato un equilibrio in senso storico e che é necessariamente incivile (e con "incivile" intendo la mancanza di affinamento astrattivo che invece é propria della civiltá urbana europea; per dirla con termini della scolastica: in Finlandia gli "universalia" sono soltanto probabilmente "ante rem" e sicuramente "in re" e non giá anche "post rem" come nella civiltá europea, nella sintesi proposta da Alberto Magno e san Tommaso; per dirla in parole povere la Finlandia é "parla come magni", anzi, "parla come bevi" e le sono estranee le fantasie rappresentative, le seghe mentali e gli spiriti contemplativi come il mio).
La mia mancanza di rimpianti di cui sopra é tutta personale. E non é il tema di questo post. Ma pe sbajo c'entra perché é l'oggetto di uno dei pochi rimpianti romani che ho, cioé le mie conversazioni cor Pinta.
Un lettore pignolo mi chiederebbe: ma come, titoli "l'arte del saper ascoltare" e poi vuoi parlarci di conversazioni? E non avrebbe torto, almeno filologicamente, a ravvisare la contraddizione. Basterebbe peró conoscere er Pinta per non trovare alcuna contraddizione.

La notte romana puó essere molto generosa, nonostante l'umiditá e le zanzare, nonostante il chiasso volgare degli open bar e le scimmie dei casting, nonostante le parabole, le city car e le suonerie dei cellulari, nonostante gli abbrutiti dal cocco, i perennemente incazzati di sinistra, le fatalone stivalate, le checche sguaiate e gli stundentelli che pensano basti una birretta per fare Bohème; la notte romana offre sempre un buen retiro per quegli spiriti inquieti che non sanno stare a casa a guardare il GF, che evitano il carnaio yankee di Trastevere e il pendolare scopereccio tra Campo de' fiori e piazza Navona; la notte romana ha sempre in serbo un angolo dimenticato dove le gattare lasciano il piatto, dove la luce della luna cola sul tronco smozzicato di una colonna che poggia la sua ombra su un vecchio muro spanciato, un cantuccio buio dove chi passa si accende una paja per farsi coraggio, dove gira una miccia o scatta una pisciata, dove trova la veloce intimitá di un bacio una coppia che non durerá fino all'alba.
Er Pinta e io avevamo trovato uno di questi posti: una scalinata consumata vicino ad un baretto irlandese dalle parti di san Pietro in vincoli, un'enclave di tranquillitá in mezzo alla caciara. D'estate, col culo sui gradini, una pinta e una miccia, e poi ancora una pinta e una miccia, e un pacchetto morbido di Diana rosse: consumavamo la notte in chiacchiere (d'inverno vagavamo senza bussola, decisi a non arrenderci all'italica noia).
Er Pinta mi faceva confidente delle sue pene d'amore; oppure proponeva spunti dalle cronache politiche, ma si finiva sempre a mandarci reciprocamente affanculo (lui e io antipodali per quanto riguarda politica e religione), ma mai con rancore; altre volte si cazzeggiava senza un argomento preciso. In quest'ultimo caso er Pinta dava il meglio di sé come oratore e io, incidentalmente, il meglio di me come ascoltatore: er Pinta riusciva a tener banco (e a tenermi sveglio) per ore, non chiedendo in cambio niente, se non da parte mia qualche intercalare di circostanza (tipo: ammazza, ma dai!, teribbile). Er Pinta parlava a marea e tra onde e risacca il suo vocione ipnotico e un po' rauco mi cullava e io, a mo' di ciuccio, fumavo una sigaretta dopo l'altra, godendomele intensamente respiro per respiro (e chi fuma o ha fumato sa cosa voglio dire). Er Pinta ogni volta mi raccontava di amici in comune, di conoscenti e parenti suoi, ma non erano pettegolezzi: era la vita spiegata a puntate.

21 novembre 2009

L'arte del saper ascoltare - 1

Approfitto del santo (e spero perdurante) sonno della bimba.

Anni fa, a una festa a Hki in casa d'Italiani, conobbi un tale, Ligure se non erro, dottorato in Fisica e impiegato presso l'Istituto meteorologico finlandese (o come diavolo si chiama).
Credo di essere in generale un ottimo compagno di chiacchiera, nel senso che lascio la gente parlare perché so ascoltare e mi piace ascoltare; spesso assumo volutamente un ruolo passivo nella conversazione per dar modo al mio interlocutore di sentirsi piú forte e sicuro e lasciarsi andare a ruota libera, fino a sbrodolarsi e rendersi ridicolo se necessario (talvolta, quanto il mio interlocutore é timido, ottengo lo stesso con un paio di domande a bruciapelo; talvolta invece nisba).
Lasciai parlare il Ligure perché fin da subito mi pareva personaggio pieno di sé e quindi potenzialmente gravido di baggianate, fesserie e meschineria. Non mi sbagliavo.
All'inizio, saputo che ero ingegnere e stimandomi uno sfigato insignificante, inizió a fare ironia proprio sulla professione dell'ingegnere, paragonandolo ad un'instancabile formichina tutta presa dalle sue semplici e innumerevoli formulette, mentre lui, PhD in Fisica, mandava palloni per le nuvole e si districava tra complessi algoritmi (sottintendendoli incomprensibili a noi ingegneri). Questo cocktail di presupponenza, pregiudizio e cattivo gusto mi deliziava.
Sorrisi come per dargli ragione e lui ne trasse coraggio per continuare a vantare la sua superioritá intellettuale.
Alla fine della conversazione, a statuire che la sua non era una vita, ma una missione o a enunciare persino la sua superioritá morale (fate voi), mi confessó che viveva in un monolocale di 20 mq a Ruoholahti (un alienante quartiere sorto tra il porto occidentale e il centro), che durante il fine settimana l'angustia dello spazio lo soffocava e che era costretto a uscire pure se fuori faceva -20.
Sorrisi ancora, come per dargli conforto. Io giá allora vivevo in questa casetta di 90 mq con sauna e giardinetto e immersa nel verde.

Prossima puntata: le mie conversazioni cor Pinta.

5 novembre 2009

Anastasia é nata!

Lunedí 2 alle 19:51!
Dettagli in seguito. Siamo appena tornati a casa! RIPOSO!

19 ottobre 2009

"Berlin" di Eraldo Affinati (Rizzoli)

Erano anni che non mi capitava: pensavo di avere un fiuto infallibile con i libri, invece ho toppato alla grande con "Berlin" di Eraldo Affinati (Rizzoli).
L'ho comprato indotto dal mio cieco amore per questa città (e da una ben scritta recensione).
Ho trovato nel libro evidenza di due limiti insormontabili: 1) l'autore non è mai vissuto a Berlino; 2) l'autore (per sua ammissione) non parla Tedesco.
Tra il 2005 e il 2007 calavo a Berlino per un weekend ogni due o tre settimane: ci andavo così spesso che potevo a buon diritto affermare di avervi una vita sociale (e l’avevo). Di Berlino conoscevo un sacco di posti, di cose, di locali, ma non ci vivevo e non parlavo Tedesco: allora avrei condiviso e sottoscritto in pieno le sensazioni e le opinioni di Affinati. Poi dal 2008 ho cominciato a studiare Tedesco e ho passato in due occasioni alcune settimane di studio a Berlino: la mia visione e la mia conoscenza della città sono radicalmente cambiate, si sono approfondite (ero entrato in interazione con la città, vivevo i suoi ritmi, mi adeguavo alle sue abitudini, parlavo la sua lingua): ora le riflessioni di Affinati, per quanto erudite e pregnanti, mi sembrano le piccole impressioni di un turista saccente (che ha letto duemila libri, ma non capisce il cartellone pubblicitario che gli sta sotto il naso): sommando i luoghi che lui ha visto e di cui ha scritto si ottiene molto meno che Berlino.
Quello che mi é rimasto dalla lettura é il fastidio dell’onanistica soddisfazione dell’autore, che ha scritto un libro su una cittá di cui non ha capito nulla.
Nel libro inoltre ci sono veniali errori (ma non tanto veniali se si pensa che Affinati pubblica per Rizzoli e non su un blogghetto sconosciuto come questo): Affinati ad esempio afferma che la Neue National-Galerie é di vetro e cemento, mentre é di vetro e acciaio (questa é una svista grave perché l'edificio dichiara smaccatamente i materiali di cui é fatto); non mi vanno giú le citazioni dal Tedesco, perché Affinati mette sempre prima il Tedesco e poi la traduzione in Italiano e questa é disonestá bella e buona, perché se non si parla il Tedesco non si ha il diritto a citare direttamente dal Tedesco (e poi allegare la traduzione) a meno che non si voglia far fessi i lettori e sembrare quello che non si é (inoltre Affinati ha il cattivo gusto di non citare mai il traduttore; forse vuole che immaginiamo che le traduzioni siano sue?); Affinati “dimentica” di parlare della Philharmonie (come scrivere un libro su Milano e dimenticarsi di menzionare la Scala). Non continuo con la lista dei difetti, sennó famo notte.
Un’ultima cosa: Affinati si pavoneggia spesso dei suoi viaggi in giro per il mondo e poi insiste a parlare di Berlino secondo le categorie piú trite del turista. Una su tutte: il clima. Parla di stagni ghiacciati, di vento polare. Affinati é affetto da quella sindrome (tipica di moltissimi Italiani) per cui tutto quello che é a Nord delle Alpi (o a Nord della periferia meridionale di Milano) é Polo Nord: tra gli inverni di Monaco di Baviera e quelli di Rovaniemi non c’é differenza; é tutto un freddo lappone, un vento polare, un trionfo di stagni ghiacciati e di brume gelate. Non voglio dire che Berlino sia una cittá mediterranea, ma non é Helsinki, né San Pietroburgo.
E qui si svela la differenza tra chi ha viaggiato (anche tanto), ma é sempre vissuto nello stesso posto e chi invece vive all’estero. Differenza di cui Affinati é suo malgrado testimone. Chi é sempre vissuto nello stesso posto, per quanto abbia viaggiato, raramente sviluppa delle categorie di pensiero diverse da quelle comuni alla gente che vive nella sua stessa cittá (o Paese); per il semplice fatto che i viaggi sono di solito troppo brevi per poter comprendere un posto (figuriamoci poi se non se ne parla la lingua!) e per poter modificare la propria mentalitá: cioé continua a leggere l'estero come se si trovasse ancora a casa. Chi ci vive, all’estero, invece si trova continuamente nella condizione di verificare la relatività delle proprie convinzioni e di dover mettere sempre in discussione la saldezza delle proprie certezze (processi critici necessariamente impossibili in patria, dove si é tutti immersi nella tepida gelatina di una sicura Weltanschauung).
Ed ecco da dove vengono le brume ghiacciate e il vento polare: per aver visto un po’ di ghiaccio per strada e aver sentito una tramontana un po’ piú fredda.