Ho appena letto degli scritti su Rembrandt di Proust e Simmel (entrambi in edizione Abscondita).
Quanta differenza tra i due!
Proust indugia nella descrizione
della luce crepuscolare rembrandtiana, di quell'oro morente di cui
lacca oggetti e persone, e ferisce il cuore, mentre l'indagine estetica di
Simmel, che è corazzata di filosofia e brandisce acume come una spada,
penetra nell'interno dell'arte dell'olandese, chiarendo al cervello ciò
che ha già affascinato il cuore.
Ma non voglio parlare di questo, voglio citare una frase di Simmel: "ovunque c'è confronto, per quanto grandi siano le differenze, ci sono sempre premesse comuni, sulla cui base il confronto è possibile ed esiste" (da Georg Simmel, "Studi su Rembrandt", Edizioni Abscondita, Milano, 2006, pag. 51).
Ma non voglio parlare di questo, voglio citare una frase di Simmel: "ovunque c'è confronto, per quanto grandi siano le differenze, ci sono sempre premesse comuni, sulla cui base il confronto è possibile ed esiste" (da Georg Simmel, "Studi su Rembrandt", Edizioni Abscondita, Milano, 2006, pag. 51).
Caliamo questa frase nel suo contesto:
Simmel sta confrontando i ritratti rembrandtiani con quelli italiani
quattrocenteschi; ma la valenza della sua frase è universale e credo che
possa essere applicata senza incertezze anche all'analisi del tempo in
cui viviamo, con particolare riferimento allo "scontro di civiltà"
(sensu lato; sebbene non condivida completamente questa espressione, me
ne servo per la sua immediatezza).
Riscriviamo la frase di Simmel: un
confronto esiste ed è possibile solo se ci sono premesse comuni, non
importa quanto grandi siano le differenze. Ora io mi chiedo: ci sono
delle premesse comuni che possano essere il fondamento di un dialogo
(confronto) tra le "civiltà" (che si stanno "scontrando")?
Forse non ha senso rispondere alla domanda per la sua genericità e indeterminatezza. Ma ha senso porsi il problema.

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