27 febbraio 2007

Due Tartari in cucina

Sabato a cena due Tartari mi hanno preparato il plov.
Sono venuti da me una collega, il di lei ragazzo e un di lui amico. La collega è Russa di San Pietroburgo; gli altri due sono Tartari nati nella baškira Ufa (città negli Urali meridionali). Vivevano tutti e tre a San Pietroburgo, prima che la collega venisse a lavorare a Helsinki; il ragazzo e l’amico sono venuti a trovarla per il weekend.
I Tartari appartengono al ceppo turco-mongolo, come dichiarano le fisionomie dei miei ospiti (generazioni di nomadi nella steppa, mandrie di cavalli, il terribile splendore dell’Orda d’Oro) e la loro lingua (vicina al Turco) e sono formalmente mussulmani (ma non molto praticanti: mi hanno chiesto: "come si può non bere e non mangiare maiale?"). Il ragazzo della collega ha un nome che viene da un personaggio di Dumas e mi racconta che il nome tartaro della sorella suona come "acqua rossa", cioè "acqua mischiata con sangue" (nella traduzione dal Tartaro al Russo all’Inglese e all’Italiano si perde qualcosa), perchè è nata il 9 Gennaio, anniversario della domenica di sangue del 9 Gennaio 1905 (giorno in cui l’esercito zarista aprì il fuoco su una folla che portava una petizione a Nicola II, facendo una strage). Anche l’altro Tartaro ha un nome francese, porta quello del rivoluzionario che fu "ucciso da una prostituta" (come mi precisa con orgoglio).
Il plov, secondo quanto ho capito (i due Tartari non parlano bene l’Inglese, ma non mi va di farmi sempre tradurre dalla collega) è un piatto originario dell’Asia centrale ed è molto diffuso in Russia. La tradizione vuole che siano solo gli uomini a prepararlo (e infatti la collega se n’è stata seduta a sfogliare una mia rivista di interior design, sorseggiando un ottimo rosso veneto).
Anch’io ho dato una mano e quindi ho potuto seguire da vicino la preparazione del plov secondo la maniera uzbeka (che dicono essere la migliore): si soffrigge nella pentola un battuto di carote e cipolle (i due Tartari avrebbero voluto usare dell’olio di semi, ma io avevo solo quello d’oliva; gli Uzbeki usano invece grasso di montone), con abbondanza di spicchi d’aglio; poi si aggiunge la carne a tocchetti (ne hanno usata di maiale, sebbene gli Uzbeki preferiscano usarne di montone) e l’uva passa; e infine aggiungono il riso e le spezie (i due Tartari hanno usato solo del curry; mi sarebbe piaciuto avere in casa dello zafferano).
Durante la preparazione (durata un paio d’ore) ci siamo sostenuti con una salsiccia lucana da mezzo metro aromatizzata al peperoncino dolce; abbiamo iniziato la cena con un’insalata (fatta dalla collega) di lattuga, pomodori, cetrioli freschi e aneto e poi siamo passati al plov.
Il plov era molto buono; i miei ospiti mi hanno assicurato che con strumenti acconci e ingredienti appropriati sarebbe venuto molto meglio e mi hanno invitato a provarlo a San Pietroburgo (invito che mi toccherà onorare). Debbo confessare che, essendoci scolata una bottiglia di J&B in tre (la collega ha bevuto soltanto il rosso veneto: una bottiglia e mezzo!) tra la preparazione e la cena, il mio palato non andava tanto per il sottile; dopo cena il ragazzo della collega è andato a stendersi sul divano (i due amici si erano fatti tre o quattro birre prima di venire da me) e io sono rimasto con l’altro Tartaro a finirmi una mezza bottiglia di Beluga (ottima vodka siberiana) che avevo in casa, più qualche bicchierino di limoncello (fatto dai miei genitori), di ouzo (che mi ha portato un amico ateniese di passaggio per Helsinki) e di un liquore lucano al cioccolato e peperoncino.
Alla fine della serata ho chiamato un taxi per i miei ospiti e li ho accompagnati a prenderlo, poi ho avuto solo la forza di tornarmene a casa, salire in camera da letto, sfilarmi i calzoni e crollare incosciente sul letto. Dormito sodo, al mattino mi sono risvegliato freschissimo.
Per tutta la serata i due Tartari mi hanno insegnato le peggiori parolacce russe, ma non me ne ricordo nemmeno una.

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