Ieri
sono andato a ballare al Lux, nuovissimo club nel nuovissimo
frankenstein polivante che è il centro di Kamppi (che ospita la stazione
degli autobus regionali, un centro commerciale, un multisala,
ristoranti, locali e trendissimi appartamenti).
Un’amica
di Perugia ha lasciato il ristorante *** a Kamppi, dove lavorava come
cameriera, e gli ex colleghi le hanno organizzato una festa d’addio al
Lux, o, come mi verrebbe da dire, al Dux, sebbene non vapori atmosfere
littorie tutte linoleum e piallacci in noce, ma vanti un lusso austero,
fondato su superficie e volumi squadrati neri, che ben poco hanno di
nostalgico (di nostalgico c’è il raffinato ristorante Lasi Palatsi, in
bilico tra il costruttivismo mel’nikoviano e il décor stalinista; squisita la zuppa di salmone).
Prima
di salire al Lux, dove ci aspetta una saletta riservata rifornita di
spumante catalano e vodka svedese, ci fermiamo a bere un biccherino di
grappa d’amarone al *** (il cui proprietario è un ricchissimo ebreo
finlandese).
Della serata voglio schizzare solo la descrizione di tre personaggi.
Il
primo è il capo-cuoco e manager del ***. Romano di Ostia, porta il nome
di un re persiano. Maneggione di bassa lega e di mezz'età, ventruto,
concepisce i rapporti umani solo secondo le categorie del sesso e del
denaro; ha il pregio (forse derivato dall’alcool) di lasciarsi uscire di
bocca tutta la pochezza che i suoi due neuroni intirizziti riescono a
produrre. A fine serata l'ho visto accapigliarsi per questioni d'onore
(forse qualcuno aveva osato dargli uno spintone).
Il
secondo personaggio è un cuoco del ***. Italiano di non so dove, porta
il nome di un paladino ariostesco. Mi si presenta come cuoco e come
ginecologo, sfoderandomi il sorriso di chi la sa lunga, ma molto lunga. Coetaneo
del capo-cuoco, lampadatissimo, veste una camicia bianca sotto
un completo gessato; la camicia è ovviamente sbottonata fino all’inizio
della panza (cavezza d’oro rosso e pelame bianco ne vengono fuori).
Presumo che abbia solo un neurone, perchè pare declinare il mondo solo
secondo la categoria del sesso (del “basta che respira”, per essere
esatti), cosa che lo mette un gradino sotto al capo-cuoco nella
ripidissima scala dell’evoluzione umana.
Il
terzo personaggio è un cameriere del ***. Bolognese, porta un nome dal
sapore virgiliano. Ventenne all’inizio degli anni ‘70, lascia Bologna
per Londra e poi per Amsterdam, dove conosce la Finlandese che diverrà
la madre di sua figlia e (ora) ex moglie. Rimane ad Amsterdam sei anni e
poi si trasferisce a Helsinki, dove vive da più di tre lustri.
Se non fosse per la figlia dodicenne, se ne andrebbe da Helsinki. Aspetta che raggiunga la maggiore età. Mi
parla di un amico dei bei tempi di Londra, che si è trasferito in
California, mentre lui sceglieva Amsterdam; mi dice che è ancora in
contatto con questo amico che gli rinnova continuamente l’invito ad
andare a lavorare da lui. Si vede che è insoddisfatto. Che è solo.
Il
Bolognese è un bell'uomo: alto, ben proporzionato, fisico
asciuttissimo, veste con disinvoltura abiti giovanili. Di animo molto
più sensibile degli altri due, mi parla con una cantilena di una
tristezza portoghese.
Provo immensa pietà per quest’uomo.
Anche
per il capo-cuoco e il cuoco provo pietà, superiore persino al fastidio
di dover sopportare la loro volgarità. Mi communove il loro squallore
senza possibilità di redenzione, accecato dall'avanzare inesorabile
degli anni. Mi paiono dei pulcinella condannati al supplizio di Tantalo,
condannati a viziare con il loro laidume anche la nobiltà della caduta.
Non riesco a riderne. Non riesco a ridere dei loro fauneschi e
frustrati approcci verso fresche biondine, non riesco a ridere dei loro
ripieghi strategici verso stagionate biondone.
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