3 marzo 2007

Serata al Lux

Ieri sono andato a ballare al Lux, nuovissimo club nel nuovissimo frankenstein polivante che è il centro di Kamppi (che ospita la stazione degli autobus regionali, un centro commerciale, un multisala, ristoranti, locali e trendissimi appartamenti).
Un’amica di Perugia ha lasciato il ristorante *** a Kamppi, dove lavorava come cameriera, e gli ex colleghi le hanno organizzato una festa d’addio al Lux, o, come mi verrebbe da dire, al Dux, sebbene non vapori atmosfere littorie tutte linoleum e piallacci in noce, ma vanti un lusso austero, fondato su superficie e volumi squadrati neri, che ben poco hanno di nostalgico (di nostalgico c’è il raffinato ristorante Lasi Palatsi, in bilico tra il costruttivismo mel’nikoviano e il décor stalinista; squisita la zuppa di salmone).

Prima di salire al Lux, dove ci aspetta una saletta riservata rifornita di spumante catalano e vodka svedese, ci fermiamo a bere un biccherino di grappa d’amarone al *** (il cui proprietario è un ricchissimo ebreo finlandese).

Della serata voglio schizzare solo la descrizione di tre personaggi.
Il primo è il capo-cuoco e manager del ***. Romano di Ostia, porta il nome di un re persiano. Maneggione di bassa lega e di mezz'età, ventruto, concepisce i rapporti umani solo secondo le categorie del sesso e del denaro; ha il pregio (forse derivato dall’alcool) di lasciarsi uscire di bocca tutta la pochezza che i suoi due neuroni intirizziti riescono a produrre. A fine serata l'ho visto accapigliarsi per questioni d'onore (forse qualcuno aveva osato dargli uno spintone).
Il secondo personaggio è un cuoco del ***. Italiano di non so dove, porta il nome di un paladino ariostesco. Mi si presenta come cuoco e come ginecologo, sfoderandomi il sorriso di chi la sa lunga, ma molto lunga. Coetaneo del capo-cuoco, lampadatissimo, veste una camicia bianca sotto un completo gessato; la camicia è ovviamente sbottonata fino all’inizio della panza (cavezza d’oro rosso e pelame bianco ne vengono fuori). Presumo che abbia solo un neurone, perchè pare declinare il mondo solo secondo la categoria del sesso (del “basta che respira”, per essere esatti), cosa che lo mette un gradino sotto al capo-cuoco nella ripidissima scala dell’evoluzione umana.
Il terzo personaggio è un cameriere del ***. Bolognese, porta un nome dal sapore virgiliano. Ventenne all’inizio degli anni ‘70, lascia Bologna per Londra e poi per Amsterdam, dove conosce la Finlandese che diverrà la madre di sua figlia e (ora) ex moglie. Rimane ad Amsterdam sei anni e poi si trasferisce a Helsinki, dove vive da più di tre lustri.
Se non fosse per la figlia dodicenne, se ne andrebbe da Helsinki. Aspetta che raggiunga la maggiore età. Mi parla di un amico dei bei tempi di Londra, che si è trasferito in California, mentre lui sceglieva Amsterdam; mi dice che è ancora in contatto con questo amico che gli rinnova continuamente l’invito ad andare a lavorare da lui. Si vede che è insoddisfatto. Che è solo.
Il Bolognese è un bell'uomo: alto, ben proporzionato, fisico asciuttissimo, veste con disinvoltura abiti giovanili. Di animo molto più sensibile degli altri due, mi parla con una cantilena di una tristezza portoghese.
Provo immensa pietà per quest’uomo.
Anche per il capo-cuoco e il cuoco provo pietà, superiore persino al fastidio di dover sopportare la loro volgarità. Mi communove il loro squallore senza possibilità di redenzione, accecato dall'avanzare inesorabile degli anni. Mi paiono dei pulcinella condannati al supplizio di Tantalo, condannati a viziare con il loro laidume anche la nobiltà della caduta. Non riesco a riderne. Non riesco a ridere dei loro fauneschi e frustrati approcci verso fresche biondine, non riesco a ridere dei loro ripieghi strategici verso stagionate biondone.

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