Negli ultimi anni ho sviluppato un interesse per alcune discipline che potremmo chiamare eterodosse, come la filosofia ermetica e la gnosi.
Ho ricevuto una formazione scientifica sensu lato e l’applicazione della meccanica newtoniana é il mio
pane quotidiano.
Nell’elaborazione della mia tesi di
laurea, il mio relatore mi fece studiare il pentagono, la
spirale costruita sulla sezione aurea e le loro reciproche relazioni;
sotto la sua guida scoprii la serie di Fibonacci e i numeri di Fidia. Mi
folgoró sulla via di Damasco l’idea che le perfette proporzioni di
queste figure geometriche fossero indizio di maggiore e piú alta
Perfezione, che fossero prova di un Ordine nell’universo. Che questo
Ordine fosse intellegibile, ma oscuro; che dovesse essere ricercato e
alla fine venisse rivelato. Che le sue Leggi fossero maggiori e piú alte
delle leggi della fisica e della chimica insegnate all’universitá.
Le ricerche del mio relatore hanno un
indirizzo prettamente estetico-architettonico, nel senso che sono
finalizzate alla figurazione dello spazio. In un primo momento rimasi
legato all’architettura ed elaborai una modesta teoria estetica
dell’architettura di forte impostazione magico-neoplatonica (intendendo
per magia un demiurgico operare sulla materia).
Lessi Platone, l’Alberti, Ficino, Cusano, Pico, l’Hypnoerotomachia Polyphili.
Imparai che per secoli i saperi eterodossi avevano camminato parallelamente a quelli ortodossi
e spesso si erano mescolati inestricabilmente: Keplero fu astronomo e
astrologo, Newton
fu fisico e alchimista.
Scoprii l’alchimia. Di cui mi attrasse
subito l’interpretazione junghiana. Jung vide nel pensiero ermetico la
proiezione dell’inconscio collettivo umano e, attraverso uno studio
comparato sui sogni e sui mandala, investigó l’archetipo del Sé.
Nella prima parte di Psicologia e alchimia
Jung descrive lucidamente il suicidio spirituale dell’Occidente nel
materialismo. Le sue parole mi colpirono profondamente; soprattutto non
mi aspettavo di trovare Jung difendere l’anima e sostenere che essa fosse naturaliter christiana.
Alchimia é una parola araba che
significa (se non ricordo male) "la terra nera", che per sineddoche
designa l’Egitto. E infatti tra i fondatori mitici dell’alchimia si
contano Ermete Trismegisto (versione ellenistica del dio egizio Toth) e
Maria l’Ebrea (sorella di Mosé e Aronne).
L’achimia é una disciplina oscura e
segreta e per questa ragione non é compatibile con la sistematizzazione
delle scienze moderne. Lo stesso fine dell’alchimia é occulto: assai
rozzamente potremmo dire che il suo fine sia quello di operare sulla
materia per liberarne lo Spirito che essa tiene imprigionato
(nell’alchimia cinese il fine dichiarato é spesso quello di portare a
perfezione fisica, intellettuale e morale l’alchimista); non esiste
nemmeno un modo univoco per nominare il risultato di queste operazioni:
pietra dei filosofi (filosofale), uovo dei filosofi, nostro oro, nostro
argento, nostra acqua, ecc. (in alcuni autori accade che il nome della
materia di partenza e quello del "prodotto" finale coincidano).
Necessariamente la tradizione
alchemica si fonda su un sapere celato, la cui fuizione non puó che
giungere al termine di una lunga ricerca, durante la quale l’alchimista
opera sulla materia e su se stesso fino a liberare dal gravame morale
(della materia) e la pietra e se stesso.
L’idea di un sapere occulto e ancestrale, a petto del quale le scienze ortodosse fossero solo eidola theatri baconiani, mi portó alla gnosi. Lessi Guenon ed Evola.
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