7 agosto 2007

La tentazione gnostica - 1

Negli ultimi anni ho sviluppato un interesse per alcune discipline che potremmo chiamare eterodosse, come la filosofia ermetica e la gnosi.
Ho ricevuto una formazione scientifica sensu lato e l’applicazione della meccanica newtoniana é il mio pane quotidiano. 
Nell’elaborazione della mia tesi di laurea, il mio relatore mi fece studiare il pentagono, la spirale costruita sulla sezione aurea e le loro reciproche relazioni; sotto la sua guida scoprii la serie di Fibonacci e i numeri di Fidia. Mi folgoró sulla via di Damasco l’idea che le perfette proporzioni di queste figure geometriche fossero indizio di maggiore e piú alta Perfezione, che fossero prova di un Ordine nell’universo. Che questo Ordine fosse intellegibile, ma oscuro; che dovesse essere ricercato e alla fine venisse rivelato. Che le sue Leggi fossero maggiori e piú alte delle leggi della fisica e della chimica insegnate all’universitá.
Le ricerche del mio relatore hanno un indirizzo prettamente estetico-architettonico, nel senso che sono finalizzate alla figurazione dello spazio. In un primo momento rimasi legato all’architettura ed elaborai una modesta teoria estetica dell’architettura di forte impostazione magico-neoplatonica (intendendo per magia un demiurgico operare sulla materia). 
Lessi Platone, l’Alberti, Ficino, Cusano, Pico, l’Hypnoerotomachia Polyphili.
Imparai che per secoli i saperi eterodossi avevano camminato parallelamente a quelli ortodossi e spesso si erano mescolati inestricabilmente: Keplero fu astronomo e astrologo, Newton fu fisico e alchimista. 
Scoprii l’alchimia. Di cui mi attrasse subito l’interpretazione junghiana. Jung vide nel pensiero ermetico la proiezione dell’inconscio collettivo umano e, attraverso uno studio comparato sui sogni e sui mandala, investigó l’archetipo del Sé.
Nella prima parte di Psicologia e alchimia Jung descrive lucidamente il suicidio spirituale dell’Occidente nel materialismo. Le sue parole mi colpirono profondamente; soprattutto non mi aspettavo di trovare Jung difendere l’anima e sostenere che essa fosse naturaliter christiana. 
Alchimia é una parola araba che significa (se non ricordo male) "la terra nera", che per sineddoche designa l’Egitto. E infatti tra i fondatori mitici dell’alchimia si contano Ermete Trismegisto (versione ellenistica del dio egizio Toth) e Maria l’Ebrea (sorella di Mosé e Aronne).
L’achimia é una disciplina oscura e segreta e per questa ragione non é compatibile con la sistematizzazione delle scienze moderne. Lo stesso fine dell’alchimia é occulto: assai rozzamente potremmo dire che il suo fine sia quello di operare sulla materia per liberarne lo Spirito che essa tiene imprigionato (nell’alchimia cinese il fine dichiarato é spesso quello di portare a perfezione fisica, intellettuale e morale l’alchimista); non esiste nemmeno un modo univoco per nominare il risultato di queste operazioni: pietra dei filosofi (filosofale), uovo dei filosofi, nostro oro, nostro argento, nostra acqua, ecc. (in alcuni autori accade che il nome della materia di partenza e quello del "prodotto" finale coincidano). 
Necessariamente la tradizione alchemica si fonda su un sapere celato, la cui fuizione non puó che giungere al termine di una lunga ricerca, durante la quale l’alchimista opera sulla materia e su se stesso fino a liberare dal gravame morale (della materia) e la pietra e se stesso.
L’idea di un sapere occulto e ancestrale, a petto del quale le scienze ortodosse fossero solo eidola theatri baconiani, mi portó alla gnosi. Lessi Guenon ed Evola.

Nessun commento:

Posta un commento