Oggi si parte per Roma. Breve w/e a casa.
Come sempre pretenderó l'impossibile dalla mia agenda. No, questa volta sará diverso: l'imperativo sará take it easy!
Il fatto é che, oltre a doverose e improcrastinabili esigenze di shopping, certi appuntamenti sono comunque irrinunnciabili:
1) la visita al magazzino dei libri: due ore (come minimo) a rovistare dentro cassette di libri per estrarne (tra quintali di polvere e monnezza) pregiate chicche come certe edizioni economiche operaie di scrittori sovietici sconosciuti (dei tempi in cui il comunismo era venduto per scientifico), relitti dell'epoca der Puzzone, prime edizioni di Papini, di Huizinga, vocabolari Greci e Latini d'inizio Novecento (che mi mancavano a Espoo, avendo lasciato i miei a Roma), un dizionario tedesco del '43, persino un'edizione secentesca (rovinatissima) delle lettere a Lucilio di Cicerone;
2) la cena il Sabato sera da Michela (piú che una pizzeria, una seconda casa), in cui una ripassata agli antipasti fritti esalta il gusto del cazzeggio con gli amici. Amo particoralmente questa pizzeria perché si trova nel quartiere popolare di Ostiense, ma in un angolo che ancora resiste alle catene di montaggio della fighetteria capitolina, ai serragli dei finti ribelli snob e dei viziati studentelli fankazzisti; ci vanno a mangiare i lavoratori, veri eredi dei borgatari pasoliniani. Tifano Lazio, magari si dicono pure "fasci" (ma in un senso tutto loro, in un misto di luoghi comuni e bisogni reali, in cui "fascismo" é giustizia sociale, sicurezza e benessere; "fascismo" opposto a "comunismo" inteso come partito della pagnotta o vaniloquio chic) oppure tifano Roma e si dichiarano "comunisti" (si sentono democratici, i soli che facciano "qualcosa per il sociale" e si contrappongono dialetticamente ai razzisti). Mi piacciono perche sono lavoratori, non imbelli capelloni che vanno avanti a chiacchiere e ignorano il sacrificio. Quando sedevo da Michela mi piaceva tendere l'orecchio ai tavoli vicini e ascoltare le conversazioni (la loro lingua é piú pura quando parlano tra di loro) e soprattutto mi piacevano i nostri cazzegghi, che potevano essere anche molto intelligenti (perché competevamo in arguzie e per allusioni intendevamo cose diversissime da quelle di cui stavamo parlando).
Ora tutto questo é morto, almeno per me. Ogni cena da Michela é una visita al cimitero, perché io non sono piú quello che mangiava abitualmente lí. Negli ultimi quattro anni ho frequentato piú i ristoranti etnici di Berlino che Michela, il mio cuore ha palpitato piú passeggiando lungo le strade di Schöneberg che per la via Ostiense; ho nuotato piú nei fiumi siberiani e nei laghi finlandesi che nel Tirreno; ho raggiunto nuove familiaritá con nuovi amici, nessuno di questi da Roma, e ho esercitato nuovi argomenti di conversazione, nuovi modi di fare ironia. Le cose viste da 3000 km di distanza non sono piú le stesse e non posso prendermi per il culo a far finta che non cambino.
Tutto morto. La cena da Michela é una visita al cimitero. O, se volete, un'analisi stratigrafica di un perduto me stesso.
Tutto questo mi porta spesso a chiedermi qual é il vero me stesso? Il me stesso hic et nunc é un segmento troppo breve per potercisi raccapezzare.
Per un breve tratto di curva, derivando si ottiene la tangente, come dire, si quaglia, si ha un'idea di dove si é, ma quando il tratto é lungo e la curva irregolare che si fa? Si spezza la curva in segmenti derivabili. E qual é il me stesso allora? Questa serie di tangenti incongrue e sghembe?
Se non avessi lasciato Roma sarei rimasto lo stesso, la tangente sarebbe rimasta quella, saprei forse chi sono. Ma se non avessi lasciato Roma avrei consciuto una sola retta, non potrei nemmeno immaginare che ne esistano altre! Non avrei mai potuto scoprire altri me stessi, cioé condizioni in cui io sia sempre io eppure diverso da quello di prima.
Messa cosí dovrei persino far fatica a riconoscermi. Eppure stranamente ogni mattina quando mi alzo so chi sono.
Oltre ad aver coscienza di certe mie caratteristiche basali di persona ho chiara la mia identitá.
L'identitá é come una bussola, come un navigatore GPS per essere piú moderni. Le mie caratteristiche basali non le considero indisponibili (come alcune parti del patrimonio statale), ma la mia identitá sí.
Per identitá intendo l'appartenenza ad un valore inalienabile, ad un'idea irrinunciabile. La mia idea irrinunciabile é Roma, la mia identitá é civem romanum esse.
Ho scritto civis romanus, non Romano. Qualsiasi idiota nato a Roma é Romano, nascere a Roma é un accidente; essere civis romanus é una scelta, un'elezione. Per me essere civis romanus é avere il proprio fondamento in quella che Cicerone chiamava "humanitas" e che per lui e i suoi contemporanei era la "cultura", l'esercizio cui ogni uomo (civis, cioé evoluto) dovesse dedicarsi e che per noi diventa l'ereditá romana e greca.
Ovunque mi trovi, chiunque io sia (per me é la stessa cosa), so di poter beneficiare di questa ricca ereditá, che non é autoritá insindacabile quanto piuttosto ricordo un un nonno buono, la cui preziosa memoria informa gentilmente la mia vita senza pretendere di governarla.
Come sempre pretenderó l'impossibile dalla mia agenda. No, questa volta sará diverso: l'imperativo sará take it easy!
Il fatto é che, oltre a doverose e improcrastinabili esigenze di shopping, certi appuntamenti sono comunque irrinunnciabili:
1) la visita al magazzino dei libri: due ore (come minimo) a rovistare dentro cassette di libri per estrarne (tra quintali di polvere e monnezza) pregiate chicche come certe edizioni economiche operaie di scrittori sovietici sconosciuti (dei tempi in cui il comunismo era venduto per scientifico), relitti dell'epoca der Puzzone, prime edizioni di Papini, di Huizinga, vocabolari Greci e Latini d'inizio Novecento (che mi mancavano a Espoo, avendo lasciato i miei a Roma), un dizionario tedesco del '43, persino un'edizione secentesca (rovinatissima) delle lettere a Lucilio di Cicerone;
2) la cena il Sabato sera da Michela (piú che una pizzeria, una seconda casa), in cui una ripassata agli antipasti fritti esalta il gusto del cazzeggio con gli amici. Amo particoralmente questa pizzeria perché si trova nel quartiere popolare di Ostiense, ma in un angolo che ancora resiste alle catene di montaggio della fighetteria capitolina, ai serragli dei finti ribelli snob e dei viziati studentelli fankazzisti; ci vanno a mangiare i lavoratori, veri eredi dei borgatari pasoliniani. Tifano Lazio, magari si dicono pure "fasci" (ma in un senso tutto loro, in un misto di luoghi comuni e bisogni reali, in cui "fascismo" é giustizia sociale, sicurezza e benessere; "fascismo" opposto a "comunismo" inteso come partito della pagnotta o vaniloquio chic) oppure tifano Roma e si dichiarano "comunisti" (si sentono democratici, i soli che facciano "qualcosa per il sociale" e si contrappongono dialetticamente ai razzisti). Mi piacciono perche sono lavoratori, non imbelli capelloni che vanno avanti a chiacchiere e ignorano il sacrificio. Quando sedevo da Michela mi piaceva tendere l'orecchio ai tavoli vicini e ascoltare le conversazioni (la loro lingua é piú pura quando parlano tra di loro) e soprattutto mi piacevano i nostri cazzegghi, che potevano essere anche molto intelligenti (perché competevamo in arguzie e per allusioni intendevamo cose diversissime da quelle di cui stavamo parlando).
Ora tutto questo é morto, almeno per me. Ogni cena da Michela é una visita al cimitero, perché io non sono piú quello che mangiava abitualmente lí. Negli ultimi quattro anni ho frequentato piú i ristoranti etnici di Berlino che Michela, il mio cuore ha palpitato piú passeggiando lungo le strade di Schöneberg che per la via Ostiense; ho nuotato piú nei fiumi siberiani e nei laghi finlandesi che nel Tirreno; ho raggiunto nuove familiaritá con nuovi amici, nessuno di questi da Roma, e ho esercitato nuovi argomenti di conversazione, nuovi modi di fare ironia. Le cose viste da 3000 km di distanza non sono piú le stesse e non posso prendermi per il culo a far finta che non cambino.
Tutto morto. La cena da Michela é una visita al cimitero. O, se volete, un'analisi stratigrafica di un perduto me stesso.
Tutto questo mi porta spesso a chiedermi qual é il vero me stesso? Il me stesso hic et nunc é un segmento troppo breve per potercisi raccapezzare.
Per un breve tratto di curva, derivando si ottiene la tangente, come dire, si quaglia, si ha un'idea di dove si é, ma quando il tratto é lungo e la curva irregolare che si fa? Si spezza la curva in segmenti derivabili. E qual é il me stesso allora? Questa serie di tangenti incongrue e sghembe?
Se non avessi lasciato Roma sarei rimasto lo stesso, la tangente sarebbe rimasta quella, saprei forse chi sono. Ma se non avessi lasciato Roma avrei consciuto una sola retta, non potrei nemmeno immaginare che ne esistano altre! Non avrei mai potuto scoprire altri me stessi, cioé condizioni in cui io sia sempre io eppure diverso da quello di prima.
Messa cosí dovrei persino far fatica a riconoscermi. Eppure stranamente ogni mattina quando mi alzo so chi sono.
Oltre ad aver coscienza di certe mie caratteristiche basali di persona ho chiara la mia identitá.
L'identitá é come una bussola, come un navigatore GPS per essere piú moderni. Le mie caratteristiche basali non le considero indisponibili (come alcune parti del patrimonio statale), ma la mia identitá sí.
Per identitá intendo l'appartenenza ad un valore inalienabile, ad un'idea irrinunciabile. La mia idea irrinunciabile é Roma, la mia identitá é civem romanum esse.
Ho scritto civis romanus, non Romano. Qualsiasi idiota nato a Roma é Romano, nascere a Roma é un accidente; essere civis romanus é una scelta, un'elezione. Per me essere civis romanus é avere il proprio fondamento in quella che Cicerone chiamava "humanitas" e che per lui e i suoi contemporanei era la "cultura", l'esercizio cui ogni uomo (civis, cioé evoluto) dovesse dedicarsi e che per noi diventa l'ereditá romana e greca.
Ovunque mi trovi, chiunque io sia (per me é la stessa cosa), so di poter beneficiare di questa ricca ereditá, che non é autoritá insindacabile quanto piuttosto ricordo un un nonno buono, la cui preziosa memoria informa gentilmente la mia vita senza pretendere di governarla.
Nessun commento:
Posta un commento